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F’lar posò sul basso tavolo davanti a lei il vassoio, ammucchiando per terra alcune pelli per sedervisi. C’era della carne, del pane, una caraffa di klah, un appetitoso formaggio giallo, e persino alcuni frutti invernali. F’lar non accennò a mangiare, e neppure Lessa, benché il pensiero di un frutto maturo e non marcio bastasse a farle venire l’acquolina in bocca. L’uomo levò lo sguardo verso di lei, aggrottando la fronte.

«Anche nel Weyr, è la dama che spezza il pane per prima,» disse, rivolgendole un cortese cenno del capo.

Lessa arrossì. Non era abituata alle cortesie, e soprattutto non era abituata a mangiare per prima. Staccò un pezzetto di pane. Non ricordava di avere mai assaggiato una cosa simile. Innanzi tutto, era appena sfornato. La farina era stata passata ad un setaccio fine, e non c’era traccia di crusca o di sabbia. Prese il pezzo di formaggio che F’lar le offriva; anche quello era deliziosamente saporito. Imbaldanzita da quella conferma della sua nuova posizione sociale, Lessa tese la mano verso il frutto più carnoso.

«Ascolta,» incominciò il dragoniere, sfiorandole la mano per attirare la sua attenzione.

Lessa lasciò cadere il frutto con aria colpevole, pensando di avere sbagliato. Lo fissò, chiedendosi quale errore poteva aver commesso. F’lar prese il frutto e glielo rimise in mano, continuando a parlare. Lei mangiucchiò, disarmata, spalancando gli occhi, prestandogli tutta la sua attenzione.

«Ascoltami bene. Non devi mostrare mai paura, neppure per un momento, qualunque cosa succeda sul Terreno della Schiusa. E non devi lasciare che lei mangi troppo.» Un’espressione disgustata gli passò sul viso. «Uno dei nostri compiti più importanti consiste proprio nell’impedire ai draghi di mangiare troppo.»

Lessa non s’interessò più al sapore del frutto. Lo posò con cura nella ciotola e cercò di intuire quello che F’lar non le aveva detto, e che pure era sottinteso nel tono della sua voce. Lo guardò in faccia, e per la prima volta lo vide come un essere umano, non come un simbolo.

La sua freddezza era prudenza, pensò: non mancanza di sensibilità. Quella austerità doveva essere voluta per mascherare la sua giovane età, perché non poteva avere molti Giri più di lei. Attorno a lui c’era una tenebrosità che non aveva nulla di malevolo, era piuttosto una specie di cupa pazienza. I capelli neri e ondulati, gettati all’indietro dalla fronte alta, scendevano a sfiorare il collo della camicia. Le folte sopracciglia nere erano troppo spesso aggrottate in un cipiglio, o altezzosamente inarcate, quando lui guardava dall’alto in basso la sua vittima; gli occhi color ambra, così chiari da sembrare dorati, esprimevano fin troppo chiaramente il cinismo e l’alterigia. Le labbra, sottili ma ben disegnate, avevano una piega quasi dolce, talvolta. Perché doveva sempre inarcare la bocca in una smorfia di disapprovazione o in un sorriso sardonico? Nel complesso, si poteva definire un bell’uomo, pensò candidamente Lessa: c’era in lui qualcosa di magnetico. E in quel momento aveva abbandonato completamente ogni affettazione.

Stava parlando sul serio. Non voleva che lei avesse paura. Lei non aveva nulla da temere.

Desiderava davvero che lei riuscisse… ad impedire a chi di mangiare troppo… che cosa? Gli animali dei branchi? Sicuramente, un drago appena uscito dall’uovo non era in grado di divorare una bestia intera. A Lessa pareva un compito molto semplice. Il wher da guardia, a Ruatha, aveva obbedito a lei e a nessun altro. Lei aveva capito il grande drago bronzeo, ed era persino riuscita a zittirlo, quando era passata correndo sotto la Torre dove stava appollaiato, per andare in cerca della levatrice. Il compito più importante? Il nostro compito più importante?

Il dragoniere la fissava con aria d’attesa.

«Il nostro compito più importante?» ripeté Lessa; nel suo tono era implicita la richiesta di altre informazioni.

«Ne parleremo più tardi. Prima, le cose più importanti,» rispose lui, con un gesto impaziente.

«Ma cosa succede?» insistette Lessa.

«Ti sto dicendo quello che è stato detto a me. Né più, né meno. Ricorda queste due cose. Non avere paura e non lasciarla mangiare troppo.»

«Ma…»

«Tu, comunque, hai bisogno di mangiare. Ecco.» F’lar infilò sulla punta del coltello un pezzo di carne e glielo porse: l’osservò a fronte aggrottata fino a quando lei riuscì a inghiottirlo. Stava per costringerla a mangiare un altro boccone, ma Lessa riprese il frutto già addentato e diede un morso a quella polpa dolce e soda. Aveva già mangiato, in quel pasto, molto più di quanto fosse abituata a mangiare in un giorno intero a Ruatha.

«Presto mangeremo meglio, al Weyr,» osservò F’lar, fissando con aria critica il vassoio.

Lessa rimase sorpresa; secondo lei, quello era stato un vero festino.

«Non ci eri abituata, eh? Già. Dimenticavo che a Ruatha tu hai lasciato solo le ossa.»

La giovane donna s’irrigidì.

«Hai agito benissimo, a Ruatha. Non intendevo criticarti,» aggiunse pronto F’lar, sorridendo della sua reazione. «Ma guardati.» La indicò con un gesto, fissandola con un’espressione che era insieme divertita e contemplativa. «No, non avrei mai pensato che pulita fossi graziosa,» continuò. «Né che avessi questi capelli.» Stavolta la sua espressione era di aperta ammirazione.

Lessa si portò involontariamente una mano alla testa, e i capelli le si arricciarono attorno alle dita. Ma qualunque fosse la risposta che, indignatissima, si accingeva a dargli, le si smorzò sulle labbra. Un sibilo acuto, incredibile riempì la stanza.

I suoni crearono una vibrazione che le corse lungo le ossa, dalle orecchie alla spina dorsale. Si coprì le orecchie con le mani; il rumore continuò a echeggiarle nella testa, nonostante quel gesto di difesa; poi cessò, improvvisamente come era incominciato.

Prima che lei avesse il tempo di capire cosa intendesse fare il dragoniere, questi l’aveva afferrata per il polso e la stava trascinando verso il cassettone.

«Toglitele di dosso,» ordinò, indicando la veste e la tunica. Mentre Lessa lo fissava senza capire, F’lar prese un’ampia veste bianca, senza maniche e senza cintura, due semplici teli di tessuto finissimo uniti alle spalle e ai lati. «Spogliati… o vuoi che lo faccia io?» chiese, spazientito.

Il suono selvaggio si ripeté, con una tonalità snervante che rese più rapidi i gesti di Lessa. Aveva appena slacciato gli indumenti che portava, facendoseli scivolare ai piedi, e già F’lar le aveva infilato sulla testa l’altra veste. Lei riuscì a liberarsi le braccia appena in tempo, che già F’lar l’aveva riafferrata per il polso e la trascinava fuori dalla stanza, con i capelli che sventolavano, resi vivi dall’elettricità.

Giunsero nella grande caverna: al centro stava ritto il grande drago, con la testa volta a sorvegliare l’ingresso della camera da letto. A Lessa sembrò impaziente: i grandi occhi che tanto l’affascinavano brillavano iridescenti. Il suo atteggiamento lasciava trasparire un’eccitazione di proporzioni grandiose: dalla gola gli usciva una cantilena acuta, parecchie ottave al di sotto del grido snervante che li aveva scossi.

Per quanto fossero agitati e impazienti, drago e dragoniere si soffermarono. All’improvviso, Lessa si rese conto che stavano parlando di lei. Aveva proprio di fronte la grande testa dell’animale, che le nascondeva ogni altra cosa, e sentiva l’esalazione calda del suo respiro, lievemente carico di fosfina. Lo sentì comunicare a F’lar che era sempre più soddisfatto della donna di Ruatha.

Con uno strattone violento, il dragoniere la trascinò lungo la galleria. Il drago trotterellava al loro fianco, a tale velocità che Lessa si aspettava di vederlo catapultarsi dal cornicione. Senza rendersi conto di come fosse avvenuto, Lessa si trovò rannicchiata sul collo bronzeo; il braccio di F’lar la stringeva saldamente alla vita. In un unico movimento fluido si trovarono a planare sopra l’immensa conca del Weyr, verso l’alta parete di fronte. L’aria era piena di ali e di code di draghi in volo, lacerata da un coro di suoni che echeggiavano nella valle pietrosa.