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Mnementh si lanciò, in quella che a Lessa pareva una rotta di collisione con gli altri draghi, in direzione di un varco nero che si apriva nel precipizio, piuttosto in alto. Come per magia, gli animali vi entrarono; le ali enormi di Mnementh sfioravano quasi i lati dell’entrata.

La galleria vibrava, riverberando i battiti delle ali: l’aria l’avvolgeva. Poi sboccarono in una caverna gigantesca.

L’intera montagna doveva essere cava, pensò Lessa, incredula. Attorno alla grotta immane c’erano innumerevoli draghi, appollaiati in file serrate, azzurri, verdi e marroni; e c’erano soltanto due bronzei come Mnementh. Ma i cornicioni erano abbastanza ampi per ospitare centinaia di animali. Lessa si afferrò alle scaglie bronzee, istintivamente conscia dell’imminenza di un grande evento.

Mnementh si calò in basso, a grandi cerchi, ignorando il cornicione sul quale erano posati gli altri bronzei. Poi Lessa vide quello che si trovava sul fondo sabbioso della grotta: uova di drago. Una covata di dieci mostruose uova chiazzate, con i gusci che si muovevano spasmodicamente, mentre i piccoli erano impegnati ad aprirsi un varco. Da un lato, su di un rialzo, c’era un uovo dorato, grande una volta e mezzo quelli chiazzati. Accanto a quell’uovo, giaceva la mole immobile, color ocra, della vecchia regina.

Nell’attimo stesso in cui si avvide che Mnementh stava librato a poca distanza dal pavimento nei pressi dell’uovo dorato, Lessa si sentì sollevare dalle mani del dragoniere.

Si afferrò a lui, preoccupata, ma F’lar la depose al suolo, inesorabile, la guardò fissamente con gli occhi ambrati.

«Ricorda, Lessa!»

Mnementh aggiunse un monito incoraggiante, girando su di lei uno dei grandi occhi compositi, poi si sollevò in volo. Lessa alzò una mano in atto di supplica, sentendosi priva di ogni appoggio, persino dell’incrollabile forza interiore che l’aveva sostenuta nella lunga lotta per vendicarsi di Fax. Vide il drago bronzeo posarsi sul primo costone, ad una certa distanza dagli altri due compagni. Il dragoniere smontò, e Mnementh piegò il collo sinuoso, abbassò la testa portandola al fianco della sua guida. L’uomo tese la mano e distrattamente, o almeno così parve a Lessa, prese ad accarezzarlo.

Poi la sua attenzione fu distratta da grida e gemiti; vide altri draghi che scendevano, fino a librarsi a poca distanza dal pavimento della caverna. Ogni pilota depose a terra una giovane donna: in breve le ragazze furono dodici, compresa Lessa. Lei si tenne un po’ in disparte, mentre quelle restavano in crocchio. Le fissò con curiosità, disprezzandole per le loro lacrime, anche se il suo cuore, probabilmente, non batteva meno rapido dei loro. Non pensò che il pianto poteva essere uno sfogo. Nessuna delle ragazze era ferita, a quanto poteva vedere: e allora, perché piangere? Il disprezzo per quel loro belare la rese consapevole della propria temerarietà: respirò a fondo, per vincere il freddo che sentiva dentro. Quelle potevano avere paura. Ma lei era Lessa di Ruatha e non aveva motivo di temere.

In quel preciso istante, l’uovo dorato si agitò convulsamente. Con un gemito all’unisono, le ragazze arretrarono, fino alla parete di roccia. Una bionda incantevole, con una pesante treccia che sfiorava il pavimento, fece per scendere dal rialzo, poi si arrestò, urlando, e tornò indietro atterrita, a cercare un conforto nella compagnia delle altre.

Lessa si girò di scatto, per vedere cosa avesse suscitato quell’espressione inorridita sul viso della ragazza. E anche lei indietreggiò, involontariamente.

Nella parte più spaziosa dell’arena coperta di sabbia, parecchie uova si erano già aperte. I neonati, gracchiando con voce fievole, stavano avanzando — e Lessa sbigottì nel vedere quella scena — verso i ragazzi che stavano ritti, immobili, disposti a semicerchio. Alcuni di loro potevano avere l’età che lei aveva quando l’esercito di Fax era piombato sulla Fortezza di Ruatha.

Gli strilli delle donne si smorzarono in singhiozzi soffocati, quando uno dei neonati protese becco e artigli per afferrare un ragazzo.

Lessa si costrinse a guardare, mentre il giovane drago scagliava da parte il giovanetto, bruscamente, come insoddisfatto. Il ragazzo non si mosse, e Lessa vide la sabbia arrossarsi del sangue che sgorgava dalle ferite.

Un altro drago balzò contro un secondo ragazzo e poi si arrestò, sbattendo impotente le ali bagnate; levò il collo scarno e gracchiò una parodia della cantilena incoraggiante che usciva così spesso dalla gola di Mnementh. Il ragazzo alzò una mano, incerto, e incominciò a grattargli l’arcata sopraccigliare. Lessa rimase a guardare, incredula: il piccolo drago, con un lagno sempre più dolce, prese a urtare delicatamente la testa contro il corpo del ragazzo: sul volto di questi sbocciò un sorriso di estatico sollievo.

Distolse gli occhi da quello spettacolo sorprendente e vide che un altro piccolo drago stava incominciando lo stesso rituale con un altro ragazzo. Nel frattempo, altri due erano usciti dalle uova. Uno aveva travolto un giovinetto e lo stava calpestando, senza accorgersi che gli stava inferendo ampi sguarci con i suoi artigli. Quello che lo seguiva si fermò accanto al ferito, piegò la testa accanto al volto del ragazzo, cantilenando ansiosamente. Il ragazzo riuscì a rialzarsi in piedi, le guance inondate di lacrime. Lessa lo sentì dire al drago di non preoccuparsi, perché si trattava solo di qualche graffio.

Tutto finì molto presto. I giovani draghi si appaiarono ai ragazzi. I cavalieri verdi scesero per condurre via quelli che non erano stati accettati. I cavalieri azzurri si posarono al suolo con le loro bestie, e condussero le coppie fuori dalla caverna: i giovani draghi squittivano, cantilenavano, sbattevano le ali ancora umide, mentre si allontanavano barcollando, incoraggiati dai Compagni del Weyr appena acquisiti.

Lessa si girò risolutamente verso l’uovo dorato che ondeggiava: sapeva cosa doveva aspettarsi e cercava di indovinare cosa avessero fatto i ragazzi prescelti per indurre i draghi neonati ad eleggerli.

Nel guscio dorato si aprì una crepa: le ragazze urlarono terrorizzate. Alcune erano crollate al suolo, come mucchietti di stoffa bianca, le altre si tenevano strette l’una all’altra per la paura. La fenditura si allargò, e ne uscì la testa aguzza, subito seguita dal collo d’oro lucente. Con inatteso distacco, Lessa si chiese quanto tempo avrebbe impiegato quella bestia per giungere alla maturità, considerando che appena nata era tutt’altro che piccola. Aveva la testa più grande di quelle dei draghi maschi, già abbastanza massicci per travolgere dei ragazzi robusti di dieci Giri.

Notò un mormorio sonoro che riempiva la caverna. Alzò gli occhi, e si accorse che ad emetterlo erano i draghi bronzei: quella era la nascita della loro compagna, della loro regina. Il mormorio crebbe di volume quando il guscio si sgretolò in molti frammenti e ne uscì il corpo dorato e scintillante della nuova femmina. Uscì barcollando, piantando il becco aguzzo nella sabbia soffice, momentaneamente intrappolata. Si raddrizzò sbattendo le ali umide, ridicola nella sua goffa debolezza. Poi, con una velocità inaspettata, sfrecciò verso le ragazze in preda al panico. Lessa non ebbe neppure il tempo di battere le palpebre, e già il drago femmina aveva scrollato via la prima ragazza, con violenza. Si sentì lo scatto secco delle vertebre, e il corpo piombò inerte sulla sabbia. Senza badarle, il drago balzò verso la seconda ragazza, ma calcolò male le distanze e cadde; tese una zampa per sostenersi, e lacerò il corpo della giovane donna dalla spalla alla coscia. Urlando, mortalmente ferita, quella distrasse per un attimo il drago, e strappò le altre dalla paralisi dell’orrore. Si dispersero tutte, in preda al panico, correndo, inciampando, vacillando, cadendo sulla sabbia, cercando di raggiungere l’apertura dalla quale erano usciti i ragazzi.