La maledetta, malaugurante Stella Rossa: Lessa piantò lo stilo nella cera morbida, tracciando il simbolo della decina ormai completata.
Pensò a quell’alba indimenticabile, più di due Giri prima, quando un presentimento inquietante l’aveva svegliata all’improvviso, sulla paglia umida del magazzino dei formaggi, a Ruatha. E la Stella Rossa aveva brillato, come se ammiccasse a lei.
Eppure adesso era lì. E il fulgido, attivo futuro che F’lar le aveva dipinto a colori sgargianti non si era materializzato. Invece di utilizzare il suo sottile potere per manipolare eventi e persone, in nome del bene di Pern, era costretta a vivere una serie di giornate inconcludenti e noiose, che non le insegnavano nulla. R’gul e S’lel la facevano morire di nausea, e lei era confinata tra gli appartamenti della Dama del Weyr (comunque, questo era un miglioramento enorme, rispetto al poco spazio concessole nel magazzino dei formaggi) e il campo del pasto e il lago del bagno. Le uniche volte in cui si serviva delle sue facoltà era per porre fine alle sedute con i suoi cosiddetti istruttori. Lessa strinse i denti, e pensò che se ne sarebbe andata volentieri, se non ci fosse stata Ramoth. Avrebbe spodestato il figlio di Gemma e assunto la signoria su Ruatha, come aveva avuto intenzione di fare subito dopo la morte di Fax.
Si strinse il labbro tra i denti, con un sorriso di derisione per se stessa. Se non fosse stato per Ramoth, lei non sarebbe rimasta comunque per un momento, dopo lo Schema di Apprendimento. Ma a partire dall’istante in cui i suoi occhi avevano incontrato quelli della giovane regina sul Terreno della Schiusa, soltanto Ramoth aveva avuto importanza per lei. Lessa era di Ramoth, e Ramoth era sua, mente e cuore, sintonizzate irrevocabilmente. Solo la morte avrebbe potuto spezzare quel legame incredibile.
Qualche volta accadeva che un uomo senza drago continuasse a vivere, come Lytol, il Connestabile di Ruatha: ma era ridotto quasi ad un’ombra, ad una personalità indistinta che vegetava nel tormento. Quando il suo pilota moriva, un drago spariva nel mezzo, in quel nulla gelido in cui i draghi riuscivano in qualche modo sconosciuto a spostare se stessi e i loro cavalieri da una località di Pern all’altra. Entrare in mezzo era molto pericoloso per i non iniziati, Lessa lo sapeva; il pericolo consisteva nel rimanere intrappolati in mezzo per un tempo più lungo di quanto fosse necessario per tossire tre volte.
L’unico volo che Lessa aveva compiuto sul collo di Mnementh aveva suscitato in lei un desiderio vivissimo di ripetere quell’esperienza. Aveva pensato, ingenuamente, che glielo avrebbero insegnato, come lo si insegnava ai giovani cavalieri e ai giovani draghi. Ma lei, che pure era considerata l’abitante più importante del Weyr, dopo Ramoth, restava inchiodata a terra, mentre i ragazzi entravano e uscivano fulmineamente dal mezzo, al di sopra del Weyr, nelle loro interminabili esercitazioni. Lessa si sentiva ribollire, al pensiero di quella restrizione insopportabile.
Anche se era femmina, Ramoth doveva possedere la stessa capacità innata di passare in mezzo di cui erano dotati i maschi. Quella teoria era suffragata — inequivocabilmente, secondo Lessa — dalla Ballata del Volo di Moreta. Le ballate non avevano forse lo scopo di istruire? Di insegnare a coloro che non sapevano né leggere né scrivere, in modo che i giovani pernesi, dragonieri, Signori o sudditi, imparassero il proprio dovere verso Pern e ricordassero la storia luminosa del loro mondo? Quei due imbecilli potevano benissimo negare l’esistenza di quella ballata: ma lei come aveva potuto impararla, se non fosse esistita? Senza dubbio, pensò acida Lessa, per la stessa ragione per cui le regine avevano le ali!
Quando R’gul avesse consentito — e l’avrebbe assillato fino a che si fosse deciso — a lasciarle assumere la responsabilità «tradizionale» di Cronista, lei avrebbe ritrovato quella ballata. Un giorno o l’altro sarebbe pure venuto quel «momento opportuno» di cui parlava R’gul.
Il momento opportuno!, pensò, irritata. Il momento opportuno! Sto perdendo troppo tempo. Quando verrà il momento opportuno di cui continuano a parlare? E che cosa sta aspettando F’lar, con tutta la sua superiorità? Il passaggio della Stella Rossa, in cui è il solo a credere? S’interruppe, perché anche l’accenno più distratto a quel fenomeno bastava ad evocare in lei una fredda, beffarda sensazione di minaccia.
Scrollò il capo, come per liberarsene. Ma quel movimento fu inopportuno, perché attirò l’attenzione di R’gul. L’uomo alzò gli occhi dalle Cronache che stava leggendo scrupolosamente, tirò a sé, attraverso il tavolo di pietra del Consiglio, la tavoletta che Lessa aveva finito di scrivere; il rumore svegliò S’lel, che alzò la testa di scatto, incerto, come se stentasse a riconoscere il luogo in cui si trovava.
«Umf? Eh? Sì?» mormorò, sbattendo le palpebre per mettere a fuoco lo sguardo annebbiato dal sonno.
Era troppo. Lessa si affrettò a stabilire il contatto con Tuenth, il drago di S’lel, che proprio in quell’istante si stava svegliando a sua volta. Tuenth era molto simpatico e condiscendente.
«Il mio drago è irrequieto, devo andare,» mormorò subito S’lel. Si incamminò a passo svelto nella galleria, contento di andarsene quanto Lessa di vederlo allontanarsi. La stupì sentire che S’lel stava salutando qualcuno, nel corridoio; si augurò che il nuovo arrivato le offrisse un pretesto per sbarazzarsi anche di R’gul.
Era Manora. Lessa accolse la sovrintendente delle Caverne Inferiori con un sollievo appena velato. R’gul, che era sempre nervoso in presenza di Manora, se ne andò immediatamente.
Manora era una maestosa donna di mezza età, che irradiava un’aura di energia tranquilla e decisa, poiché era arrivata a un compromesso difficile con la vita, e lo manteneva con serena dignità. La sua pazienza era un tacito rimprovero per l’irrequietezza di Lessa, per le sue lagnanze. Tra tutte le donne che aveva frequentato nel Weyr (quando i dragonieri glielo permettevano), Manora era quella che più ammirava e rispettava. L’istinto l’aveva resa amaramente conscia che non avrebbe mai potuto avere rapporti facili o amichevoli con le donne del Weyr. Il suo rapporto con Manora, anche se scrupolosamente ufficiale, era però soddisfacente.
Manora aveva portato le tavole dell’inventario delle Grotte-Magazzini. Come sovrintendente, aveva il compito di tenere informata la Dama del Weyr della situazione amministrativa. (Quello era uno dei doveri di Lessa che sembravano stare maggiormente a cuore a R’gul.)
«Bitra, Benden e Lemos hanno mandato le dècime; ma non ci basteranno a superare il periodo freddo, questo Giro.»
«Anche il Giro scorso abbiamo avuto solo le dècime di quelle tre Fortezze, eppure mi sembra che si sia mangiato abbastanza bene.»
Manora sorrise amabilmente: però era chiaro che non considerava ben fornito il Weyr.
«È vero: ma avevamo le scorte di viveri conservati e seccati di altri Giri migliori. Adesso, le scorte sono esaurite. A parte tutti quei barili di pesce mandati da Tillek…» La sua voce si spense, in tono significativo.
Lessa rabbrividì. Pesce secco, pesce salato, pesce, sempre pesce; in quegli ultimi tempi l’avevano servito troppo spesso.
«Le nostre riserve di grano e di farina nelle Caverne Asciutte sono ridotte al minimo, perché Benden, Bitra e Lemos non producono molti cereali.»
«Abbiamo bisogno soprattutto di cereali e di carne?»
«Ci farebbe comodo anche un po’ più di frutta e di verdura,» rispose pensosa Manora. «Soprattutto se la stagione fredda sarà lunga come prevede il meteorologo. Siamo andati alla Piana di Igen a raccogliere le noci e le bacche primaverili e autunnali…»
«Noi? Alla Piana di Igen?» l’interruppe Lessa, in tono sbalordito.
«Sì,» rispose Manora, sorpresa da quella reazione. «Andiamo sempre là per la raccolta. E mietiamo i cereali acquatici nelle paludi dei bassopiani.»