«Me li proponi perché appartengono allo squadrone di F’lar e sono stati allevati nelle vere tradizioni? Perché si lascerebbero fuorviare meno facilmente dalle mie blandizie?»
«Te li propongo perché credono nella tradizione secondo la quale il Weyr deve essere rifornito dalle Fortezze.»
«Benissimo.» Lessa sorrise maliziosamente a Manora, rendendosi conto che era inutile cercare di indurla ad esprimere i suoi veri sentimenti a proposito di F’nor. «Ricorderò le tue raccomandazioni, perché non ho intenzione di…» Non terminò la frase. «Grazie di avermi informata dei problemi del rifornimento. Abbiamo bisogno soprattutto di carne fresca, no?» chiese, alzandosi.
«E anche di cereali, e andrebbero benissimo anche i tuberi del Sud,» rispose Manora in tono ufficiale.
«Benissimo,» convenne Lessa.
Manora se ne andò, pensierosa.
Lessa rifletté a lungo su quel colloquio, seduta come una statua esile sul grande trono di pietra, le gambe ripiegate sull’imbottitura.
La cosa più importante era l’inquietante certezza che Manora era atterrita dalla prospettiva che Lessa si allontanasse dal Weyr, dal fianco di Ramoth, per qualunque ragione e per qualunque periodo di tempo. La sua reazione istintiva era un argomento molto più efficace di tutti gli sproloqui sentenziosi di R’gul. Tuttavia, la donna non aveva alluso alle ragioni di quella necessità. Benissimo, Lessa non avrebbe cercato di volare su uno degli altri draghi, con o senza cavaliere, anche se in quegli ultimi tempi aveva quasi deciso di farlo.
Ma avrebbe agito per quanto riguardava il problema dei viveri, soprattutto perché R’gul non avrebbe fatto nulla. E poiché R’gul non avrebbe potuto protestare per ciò che non sapeva, lei sarebbe riuscita, con l’aiuto di K’net o di F’nor o di tutti quelli che le servivano, a rifornire decentemente il Weyr. Aveva preso la piacevole abitudine di mangiare pasti regolari, e non aveva nessuna intenzione di perderla. Non intendeva abbandonarsi all’avidità, ma qualche furterello giudizioso compiuto ai danni di un raccolto abbondante sarebbe passato inosservato agli occhi dei Signori delle Fortezze.
K’net, però, era giovane; poteva essere avventato e indiscreto. Forse la scelta migliore era F’nor. Ma era libero di muoversi quanto K’ner il quale, dopotutto, era un cavaliere bronzeo? Forse C’gan? L’assenza di un cavaliere azzurro in pensione, che non sapeva come passare il tempo, sarebbe stata notata più difficilmente.
Lessa sorrise tra sé, ma quel sorriso svanì in fretta.
«Il giorno in cui il Weyr sarà costretto a comprare ciò che dovrebbe ricevere in dono…» Represse il brivido premonitore, si concentrò su quella situazione scandalosa. Senza dubbio, questo dimostrava chiaramente fino a che punto si era illusa.
Perché aveva pensato che al Weyr le cose sarebbero state tanto diverse dalla Fortezza di Ruatha? Forse l’educazione ricevuta nella prima infanzia le aveva instillato una reverenza indiscussa per il Weyr, al punto che la vita doveva cambiare il suo corso, sol perché Lessa di Ruatha aveva compiuto lo Schema di Apprendimento di Ramoth? Come aveva potuto essere tanto sciocca e tanto sentimentale?
Guardati attorno, Lessa di Pern, guarda il Weyr ad occhi aperti. Il Weyr è antico e venerato? Sì, ma anche squallido e malconcio… e poco considerato. Sì, ti esaltava l’idea di sederti sul trono della Dama del Weyr al tavolo del Consiglio, ma l’imbottitura è sottile e il tessuto polveroso. Ti umilia pensare che le tue mani si posano dove si sono posate quelle di Moreta e di Torene? Ebbene, la pietra è incrostata di sporcizia, e avrebbe bisogno d’una buona pulita. E il tuo deretano può essere posato dove s’è posato il loro… ma non è lì che hai il cervello.
Lo squallore del Weyr rispecchiava la decadenza della sua funzione nel modello di vita di Pern. Quei bei dragonieri, così splendidi nelle tenute di pelle di wher, così fieri sul collo dei loro grandi animali… osservati da vicino avevano offerto rivelazioni spiacevoli. Erano solo uomini, con appetiti e ambizioni umani, pieni di difetti e di frustrazioni, riluttanti a sovvertire la loro facile esistenza per ottemperare alle dure esigenze che avrebbero potuto rendere al Weyr la sua dignità. Erano ormai radicati troppo profondamente nell’isolamento, troppo lontani dal resto del genere umano; non si accorgevano neppure di pensarci ben poco. E non c’era un vero capo a guidarli…
F’lar! Cosa stava aspettando? Che Lessa si rendesse conto dell’inefficienza di R’gul? No, decise Lessa, lentamente: aspettava che Ramoth crescesse. Che Mnementh l’accompagnasse nel volo nuziale, appena possibile… F’lar era troppo tradizionalista, e secondo Lessa quel pretesto era specioso: per questo avrebbe atteso il momento in cui il cavaliere del compagno della regina sarebbe diventato il nuovo Comandante del Weyr.
Bene: forse F’lar avrebbe scoperto che gli avvenimenti non avevano preso la piega che lui aveva calcolato.
I miei occhi erano abbagliati da quelli di Ramoth, pensò Lessa; ma adesso riesco a vedere óltre quell’arcobaleno. Cercò di difendersi dalla tenerezza che provava sempre quando pensava al drago dorato. Sì, adesso posso vedere nelle ombre nere e grige, e il mio apprendistato a Ruatha mi pone in una posizione di vantaggio. È vero, qui non si tratta di controllare una piccola Fortezza, e le menti da influenzare sono molto più percettive. Tuttavia, a modo loro sono più ottuse. Il rischio è maggiore, se perdo. Ma come posso perdere? Il sorriso di Lessa si fece più ampio. Si passò le mani sulle cosce, pregustando la sfida. Non possono combinare niente con Ramoth, senza di me, e hanno bisogno di Ramoth. Nessuno può forzare Lessa di Ruatha, e devono tenermi, come si sono tenuti Jora. Ma io non sono Jora!
Lessa balzò dalla sedia, animata ed euforica. Si sentiva di nuovo viva, e più potente, da sola, di quanto si sentisse quando Ramoth era sveglia.
Il tempo, il tempo, il tempo. Il tempo di cui parlava sempre R’gul. Bene, ormai Lessa aveva finito di contare il suo tempo. Era stata una sciocca. Adesso sarebbe divenuta davvero la Dama del Weyr, quella che F’lar l’aveva indotta a credere che sarebbe diventata.
F’lar… I suoi pensieri tornavano continuamente a lui. Avrebbe dovuto tenerlo d’occhio… Soprattutto quando lei avrebbe incominciato a «sistemare» le cose a modo suo. Ma aveva un vantaggio che lui non poteva immaginare: poteva parlare con tutti i draghi, non soltanto con Ramoth. Persino con il suo prezioso Mnementh.
Lessa rovesciò indietro il capo e rise; la risata riecheggiò nella grande, deserta Sala del Consiglio. Rise ancora, felice di quello sfogo cui aveva avuto così poche occasioni di abbandonarsi. La sua gaiezza destò Ramoth. L’esultanza suscitata dalla nuova decisione fu sostituita da quella che derivava dal sapere che il drago dorato si stava svegliando.
Ramoth si agitò di nuovo e si stiracchiò irrequieta, mentre gli stimoli della fame penetravano attraverso il sonno. Lessa percorse la galleria correndo, a passi leggeri, impaziente come una bambina, spinta dal desiderio di vedere gli occhi splendidi, di essere vicino alla dolcezza che caratterizzava la personalità del drago.
L’enorme testa aurea di Ramoth si voltò di scatto; il drago assonnato cercava istintivamente la sua compagna. Lessa si affrettò a toccare il mento ottuso, e la testa si acquietò, consolata. Le molte palpebre protettive si schiusero sugli occhi sfaccettati, e Ramoth e Lessa rinnovarono l’impegno della loro devozione reciproca.
Ramoth aveva fatto ancora quei sogni, disse a Lessa, rabbrividendo un po’. Era così freddo, là! Lessa accarezzò il piumino morbido sopra l’arcata sopraccigliare, tranquillizzandola. Era legata ormai strettamente a Ramoth, ed era ben consapevole della malinconia prodotta da quelle bizzarre sequenze.