«Lo sapremo presto,» rispose allora. Girò pensieroso la testa verso oriente, gli angoli delle labbra incurvati in un sorriso sgradevole. Anche Lessa guardò verso oriente dove un occhio esperto poteva distinguere la scintilla fioca della Stella Rossa, benché il Sole fosse già alto.
«Le Fortezze fedeli saranno protette,» mormorò F’lar, sottovoce, «quando la Stella Rossa passerà.»
Lessa non sapeva perché mai loro due fossero d’accordo sul significato della Stella Rossa. Sapevano soltanto che anche lei la riconosceva come una Minaccia. Anzi, quella era stata la considerazione più importante tra tutti gli argomenti che F’lar aveva sciorinato per convincerla a lasciare Ruatha e a trasferirsi al Weyr. Perché lui non aveva ceduto alla deleteria indifferenza che aveva svirilizzato gli altri dragonieri? Ecco, questo non lo sapeva, e non glielo avrebbe mai chiesto: non per disprezzo, ma perché era chiaro che la convinzione di F’lar era indiscutibile. Lui sapeva. E anche lei sapeva.
E di tanto in tanto, quella certezza doveva fremere anche nei draghi. All’alba si agitavano, tutti, nel sonno, se stavano dormendo, oppure sbattevano la coda e spiegavano le ali, se erano svegli. Anche Manora credeva, a quanto sembrava. F’nor doveva crederlo; e forse la certezza di F’lar aveva contagiato anche i suoi cavalieri. Di sicuro, lui esigeva dai suoi uomini l’obbedienza implicita alla tradizione, e la riceveva, sotto forma d’una devozione dichiarata.
Ramoth uscì dal lago e, sbattendo le ali e incespicando, si diresse verso i campi del pasto. Mnementh si sistemò di lato, e permise a Lessa di sedersi sulla sua zampa anteriore. Lontano dall’orlo della Conca il suolo era gelido, sotto i piedi.
Ramoth mangiò, lagnandosi indispettita perché gli animali che costituivano il suo pasto erano troppo coriacei, e poi si risentì quando Lessa le impedì di mangiarne più di sei.
«Devono mangiare anche gli altri, sai?»
Ramoth informò Lessa che lei era la regina e quindi aveva la precedenza.
«E domani avrai prurito.»
Mnementh disse che Ramoth poteva prendersi la sua parte. Aveva fatto un buon pasto con un grasso animale a Keroon, due giorni prima. Lessa lo fissò con vivo interesse. Era per quella ragione che tutti i draghi dello squadrone di F’lar avevano un’aria tanto soddisfatta? Doveva stare più attenta, e controllare chi frequentava i campi del pasto, e con quali intervalli.
Ramoth era ritornata nella sua caverna e si stava già addormentando di nuovo quando F’lar condusse nell’alloggio il comandante del convoglio.
«Dama del Weyr,» disse il dragoniere, «questo messaggero viene da parte di Lytol e ha notizie per te.»
L’uomo distolse con riluttanza lo sguardo dalla grande forma dorata e lucente della regina e s’inchinò a Lessa.
«Sono Tilarek, Dama del Weyr, inviato da Lytol, Connestabile della Fortezza di Ruatha,» disse rispettosamente; ma i suoi occhi, mentre fissavano Lessa, erano colmi di un’ammirazione che sconfinava nell’impudenza. Si sfilò il messaggio dalla cintura ed esitò, combattuto tra la certezza che le donne non sapevano leggere e le istruzioni ricevute. Lessa tese la mano con un gesto imperioso, nell’attimo stesso in cui l’uomo notava l’aria divertita e rassicurante di F’lar.
«La regina dorme,» osservò quest’ultimo, indicando la galleria che portava alla Sala del Consiglio.
Era stata una mossa intelligente, da parte di F’lar, assicurarsi che il messaggero potesse dare una lunga occhiata a Ramoth, pensò Lessa. Tilarek, al ritorno, avrebbe diffuso la notizia che la regina era straordinariamente grande e in ottima salute, e la voce si sarebbe gonfiata e arricchita di particolari, passando di bocca in bocca. E poi, Tilarek avrebbe anche fatto sapere a tutti ciò che pensava della nuova Dama del Weyr.
Lessa attese sin quando vide F’lar offrire del vino al corriere, poi aprì la pergamena. Mentre decifrava la scrittura di Lytol, si accorse della gioia che le dava ricevere notizie di Ruatha. Ma perché le prime parole di Lytol dovevano essere proprio quelle?
Il bambino cresce bene e gode buona salute…
A lei importava ben poco della prosperità del piccino. Ah…
Ruatha è stata liberata dalle piante, dalla vetta della collina fino al confine degli alloggi degli artigiani. Il raccolto è stato eccellente, e gli animali domestici si moltiplicano grazie ai nuovi stalloni. Invio la dècima dovuta dalla Fortezza di Ruatha. E possa prosperare il Weyr che ci protegge.
Lessa sbuffò sommessamente. Ruatha conosceva il proprio dovere, ma le altre tre Fortezze che mandavano le dècime non avevano inviato anche messaggi nella forma dovuta. La lettera di Lytol continuava in toni malauguranti.
Una parola di avvertimento. Con la morte di Fax, Telgar si è posta in primo piano, nel crescente movimento sedizioso. Meron, il cosiddetto Signore di Nabol, è molto forte e cerca, credo, di primeggiare; per lui Telgar è troppo prudente. I dissensi si rafforzano e sono più diffusi di quando ne ho parlato l’ultima volta con il Cavaliere Bronzeo F’lar. Il Weyr deve stare doppiamente in guardia. Se Ruatha può essere d’aiuto, informacene.
Lessa fece una smorfia, a quell’ultima frase. Serviva solo a porre in risalto il fatto che le Fortezze utili erano ormai pochissime.
«E hanno riso di noi, Nobile F’lar,» stava dicendo Tilarek, dopo essersi inumidito la gola con una generosa sorsata del vino prodotto nel Weyr. «Perché abbiamo fatto ciò che gli uomini devono fare.»
«Strano, però, più ci avvicinavamo al Weyr, e meno numerosa era la gente che rideva. Qualche volta è difficile capire come stiano certe cose. Come se non dovessi mantenere forte e abituato al peso della spada il mio braccio destro.» E lo agitò, simulando afiondi e fendenti. «Sarei in un guaio, allora, se fossi costretto a difendermi. E poi, certa gente crede a chi più alza la voce. E certi altri credono perché hanno paura. Comunque,» proseguì, in tono energico, «io sono un soldato, e per me è difficile sopportare i sarcasmi degli artigiani e dei contadini. Ma avevamo l’ordine di non sguainare le spade, e abbiamo obbedito. Non è stato un male,» fece, con una smorfia ironica. «I Signori hanno sempre mantenuto piena sorveglianza, dopo… dopo la Cerca…»
Lessa si chiese che cosa era stato sul punto di dire quell’uomo. Ma Tilarek continuò, con calma.
«Molti si pentiranno, quando i Fili torneranno di nuovo a cadere su tutto quel verde che cresce attorno alle loro porte.»
F’lar colmò di nuovo la coppa del messaggero, e si informò distrattamente dei raccolti che aveva visto nel recarsi al Weyr.
«Magnifici, ricchissimi,» gli assicurò il corriere. «Dicono che questo Giro è stato il migliore a memoria d’uomo. Le viti di Crom avevano grappoli grossi così!» Fece un ampio cerchio con le grosse mani, e i suoi ascoltatori reagirono nel modo più appropriato. «E non avevo mai visto le spighe di grano, a Telgar, tanto piene e pesanti. Mai.»
«Pern prospera,» commentò asciutto F’lar.
«Senza offesa.» Tilarek raccolse dal vassoio un frutto grinzoso. «Ne ho raccolti di migliori tra quelli buttati via per la strada.» Mangiò il frutto in due bocconi, e si pulì le mani sulla tunica. Poi, rendendosi conto di ciò che aveva detto, si affrettò ad aggiungere: «La Fortezza di Ruatha vi manda i suoi prodotti migliori, come è di dovere. Non è roba raccolta per la strada, potete esserne certi.»
«È rassicurante sapere che godiamo della fedeltà di Ruatha e delle sue offerte,» lo tranquillizzò F’lar. «Le strade erano sgombre?»
«Sì, e c’è una cosa molto strana, per questo periodo dell’anno. Prima freddo, e poi all’improvviso fa caldo, come se il clima non ricordasse in che stagione siamo. Niente neve e poca pioggia. Ma i venti! Roba da non credere. Dicono che le coste sono state colpite duramente dalle mareggiate.» Roteò gli occhi poi, curvando le spalle, aggiunse in tono confidenziale: «Dicono che la montagna fumante di Ista, quella che appare e poi… puff!, sparisce, è comparsa di nuovo.»