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Vide la paura e il turbamento cancellare l’aria di trionfo dal viso di R’gul, e restò a guardarlo mentre quello cercava di controllarsi. Un sogghigno malevolo prese il posto dello stupore. Forse credeva che lei avesse formulato una minaccia vana?

«Buon pomeriggio,» disse gentilmente F’lar, dall’ingresso. Al suo fianco c’era K’net, sorridente. «Mnementh mi ha informato che i bronzei bevono il sangue delle prede. Siete stati veramente gentili a chiamarci per farci assistere allo spettacolo.»

Un temporaneo sollievo spazzò via dalla mente di Lessa la recente ostilità nei confronti di F’lar. La vista di lui, così calmo, beffardo, arrogante, la esaltò.

Lo sguardo di R’gul sfrecciò intorno al semicerchio di cavalieri bronzei, cercando d’individuare l’uomo che aveva richiamato quei due. E Lessa sapeva che R’gul odiava e temeva F’lar. Nello stesso tempo, sentiva che F’lar era cambiato. Adesso in lui non c’era più nulla di indifferente, di passivo. Era teso, invece, impaziente. L’attesa di F’lar si era conclusa.

Ramoth si scosse, improvvisamente, completamente sveglia. La sua mente era in un tale stato da far comprendere a Lessa che F’lar e K’net erano arrivati appena in tempo. Gli stimoli della fame del drago dorato erano così forti che Lessa accorse ad accarezzarle la testa. Ma Ramoth non era disposta a lasciarsi placare.

Si alzò con agilità inaspettata, dirigendosi verso il cornicione. Lessa la rincorse, seguita dai dragonieri. Ramoth sibilò agitata in direzione dei draghi bronzei librati nei pressi del cornicione, e quelli si affrettarono a disperdersi. I loro cavalieri si avviarono verso le ampie scale che portavano dall’appartamento della regina alla Conca.

Stordita, Lessa sentì che F’nor l’aveva issata sul collo di Canth e ordinava al drago di raggiungere in fretta gli altri sui campi del pasto. Vide, sbalordita, che Ramoth planava agile ed elegante sopra la mandria spaventata. Si lanciò rapida, afferrando la preda per il collo; poi ripiegò di colpo le ali e si lasciò cadere, troppo affamata per portarsela lontano.

«Controllala!» ansimò F’nor, depositando Lessa sul terreno senza troppe cerimonie.

Ramoth rispose con un grido di sfida all’ordine della sua Dama del Weyr. Girò la testa, sventolando rabbiosa le ali: i suoi occhi erano bracieri di fuoco opalescente. Protese il collo verso il cielo in tutta la sua lunghezza, proclamando la propria insubordinazione con uno strillo. L’eco riverberò contro le pareti del Weyr. Intorno tutti i draghi, azzurri, verdi, marroni e bronzei protesero le ali ampissime, e i loro gridi di risposta fecero fremere l’aria come tuoni.

Era venuto, per Lessa, il momento di fare appello alla forza di volontà che aveva acquisito durante quei lunghi anni di fame, in attesa della vendetta. La testa aguzza di Ramoth sfrecciava avanti e indietro, gli occhi ardevano di una ribellione incandescente. Non era più il piccolo drago amabile e fiducioso: era un demonio violento.

Attraverso il campo insanguinato, Lessa oppose la propria volontà a quella della trasformata Ramoth. Senza traccia di debolezza, senza paura, senza pensieri di disfatta, Lessa costrinse Ramoth ad obbedire. Urlando la sua protesta, il drago dorato abbassò il muso sulla preda, lambendo con la lingua la carcassa inerte, spalancando le mascelle. La testa ondeggiò sopra le viscere fumanti squarciate dagli artigli. Con un ultimo sbuffo di rimprovero, Ramoth piantò i denti nella gola robusta della vittima e succhiò fino a dissanguarla completamente.

«Trattienila,» mormorò F’nor. Lessa si era dimenticata di lui.

Ramoth si levò in volo fra altissime strida, e con velocità incredibile piombò su di una seconda preda. Anche questa volta cercò di azzannare il ventre morbido della vittima; e Lessa esercitò ancora la sua autorità e vinse. Con uno strillo di sfida, Ramoth, riluttante, bevve di nuovo il sangue.

La terza volta non si oppose agli ordini di Lessa. Il drago femmina aveva incominciato a rendersi conto dell’istinto irresistibile che lo stava dominando. Non aveva conosciuto altro che il furore, fino a quando aveva assaporato il gusto del sangue caldo. Adesso Ramoth sapeva ciò che doveva fare: volare via, velocemente, a lungo, lontano dal Weyr, lontano da quei meschini esseri senz’ali, precedendo i bronzei maschi in calore.

Il suo istinto di drago era limitato al presente, incapace di controllo e di anticipazione. Gli esseri umani esistevano per offrire ai draghi l’ordine e la saggezza, cantilenò silenziosamente Lessa.

Senza esitazioni, Ramoth si avventò per la quarta volta, sibilando avida mentre suggeva la gola della vittima.

Un silenzio teso era caduto sulla Conca del Weyr, rotto soltanto dai suoni che faceva Ramoth succhiando e dal sibilo alto del vento.

La pelle di Ramoth cominciò a risplendere. Sembrò diventare più grande in quella luminescenza. Levò la testa insanguinata, sporgendo la lingua per leccarsi il muso. Si raddrizzò, e nello stesso istante un mormorio si levò dalle gole dei draghi bronzei che cingevano il campo del pasto in silenziosa attesa.

Con un rapido guizzo dorato, Ramoth inarcò la grande schiena. Balzò nel cielo ad ali spiegate, fu in volo a velocità incredibile. In un batter d’occhio, sette sagome bronzee la seguirono. Le ali possenti gettarono vortici d’aria e di sabbia in faccia agli esseri umani che assistevano alla scena.

Con il cuore in gola alla vista di quel volo prodigioso, Lessa sentì la propria anima sollevarsi insieme a Ramoth.

«Resta con lei», bisbigliò F’nor, concitato. «Resta con lei. Non deve sfuggire al tuo controllo proprio adesso.»

Si allontanò da Lessa, ritornò tra gli altri abitanti del Weyr, che seguivano con lo sguardo, nel cielo, le figure lontane dei draghi, già sul punto di scomparire.

Lessa, con la mente curiosamente sospesa, conservava a fatica la consapevolezza di trovarsi sulla terra.

Tutti gli altri sensi erano in volo con Ramoth. E lei, Ramoth-Lessa, era viva di una potenza illimitata, le sue ali battevano senza sforzo l’aria rarefatta di quelle alte quote, e tutto il suo essere fremeva di esultanza… di esultanza e di desiderio.

Sentì, più che non li vedesse, i grandi maschi bronzei che l’inseguivano. Disprezzava i loro sforzi inefficienti. Perché lei era libera e invincibile.

Ripiegò la testa sotto un’ala e beffò quegli sforzi meschini con piccole grida irridenti. Si librò in alto, al di sopra di loro. Poi all’improvviso piegò le ali e si lasciò precipitare, felice nel vedere i maschi disperdersi in fretta per evitare la collisione.

Risalì di nuovo, librandosi sopra di loro, mentre quelli faticavano per riguadagnare la velocità e la quota perduta.

E così Ramoth civettò a suo capriccio con i suoi innamorati, splendida nella libertà appena trovata, sfidando i draghi bronzei a vincere la sua velocità.

Uno si lasciò cadere, esausto. Lei gridò la propria superiorità. Ben presto anche un altro abbandonò l’inseguimento, mentre lei giocava, tuffandosi e sfrecciando in volteggi complicati. Qualche volta dimenticava la loro esistenza, perduta nell’estasi del volo.

Quando finalmente, un po’ annoiata, si degnò di guardare i corteggiatori, provò un vago senso di divertimento nel vedere che solo tre draghi la stavano inseguendo. Riconobbe Mnementh, Orth e Hath. Tutti nel pieno delle loro forze; degni, forse, di lei.

Planò, abbassandosi, li provocò, divertita dal loro volo affaticato. Hath non poteva sopportarlo. Orth? Orth era uno splendido giovane maschio. Ripiegò le ali per scivolare tra lui e Mnementh.

Quando sterzò, passando accanto a Mnementh, questi chiuse improvvisamente le ali e le piombò accanto. Sbalordita, cercò di tenersi librata e scoprì che le sue ali s’erano impigliate in quelle di lui, e il collo di Mnementh si attorceva strettamente al suo.

Precipitarono, allacciati. Mnementh, attingendo a una riserva segreta di energia, spiegò le ali per frenare la caduta. Sconvolta dalla velocità tremenda, anche Ramoth spiegò le ali. Poi Lessa barcollò, brancolando disperata, cercò di afferrarsi a qualcosa per sostenersi. Le sembrava di essere ritornata con un’esplosione dentro al proprio corpo, scossa in ogni nervo.