Erano appena entrati nella grotta della regina quando R’gul, seguito da un K’net molto agitato, arrivò con aria tempestosa dalla direzione opposta.
«Le sentinelle mi hanno informato,» cominciò R’gul, «che un forte contingente di armati, con le bandiere di molte Fortezze, si sta avvicinando alla galleria. K’net, qui,» R’gul era furibondo con il giovane, «ha confessato di avere compiuto scorrerie sistematiche, agendo in modo contrario al buon senso e soprattutto ai miei ordini precisi. Naturalmente, di lui ci occuperemo più tardi,» aggiunse, squadrando il giovane con aria minacciosa. «Cioè, se sarà rimasto qualcosa del Weyr, dopo che i Signori avranno finito di occuparsi di noi.»
Si girò verso F’lar, e il suo cipiglio si fece ancora più cupo, quando si accorse che l’altro lo fissava sogghignando.
«Non startene lì a quel modo!» ringhiò R’gul. «Non c’è proprio niente da ridere. Dobbiamo escogitare qualcosa per placarli.»
«No, R’gul,» lo contraddisse F’lar, senza interrompere il suo atteggiamento. «È finita l’epoca in cui cercavamo di placare i Signori.»
«Cosa? Sei diventato pazzo?»
«No. Ma tu non hai il diritto di decidere,» disse F’lar: non sogghignava più. La sua espressione era severa.
R’gul spalancò gli occhi, guardandolo come se lo vedesse per la prima volta.
«Hai dimenticato un particolare molto importante,» continuò implacabile F’lar. «La linea politica cambia, quando si sostituisce il Comandante del Weyr. Adesso il Comandante del Weyr sono io, F’lar, il cavaliere di Mnementh.»
Quella frase non aveva ancora finito di risuonare quando S’lel, D’nol, T’bor e S’lan entrarono nella sala a grandi passi affrettati. Si arrestarono, colpiti, a osservare la scena.
F’lar attese, dando loro la possibilità di comprendere che quel dissenso dimostrava il passaggio dell’autorità nelle sue mani.
«Mnementh,» disse a voce alta, «richiama tutti i vicecomandanti degli squadroni e i cavalieri marroni. Dovremo prendere alcuni accordi prima che arrivino i nostri… ospiti. Poiché la regina dorme, dragonieri, vi prego, accomodatevi nella Sala del Consiglio. Dopo di te, Dama del Weyr.»
Si scostò per lasciare passare Lessa e notò il lieve rossore sulle sue guance. Dunque, non riusciva a controllare perfettamente le proprie emozioni.
Avevano appena preso posto attorno alla grande Tavola del Consiglio, quando i cavalieri marroni cominciarono ad arrivare in un flusso continuo. F’lar osservò, intento, la sottile differenza che si era prodotta nel loro atteggiamento. Camminavano più eretti, al punto di sembrare persino più alti, pensò. E… sì, quella loro aria di sconfitta e di frustrazione era stata sostituita da un’eccitazione tesa. Se quel cambiamento si era prodotto anche in tutti gli altri, gli eventi di quel giorno avrebbero fatto rivivere l’orgoglio e la funzione del Weyr.
F’nor e T’sum, i suoi comandanti in seconda, entrarono in quel momento: era impossibile dubitare del loro morale elevato. Si guardarono attorno con occhi lampeggianti, sfidando tutti gli altri a contestare la loro promozione. T’sum si fermò accanto all’ingresso, e F’nor si diresse a passo deciso per andare a prendere posto dietro la sedia di F’lar, soffermandosi solo per rivolgere un profondo inchino rispettoso alla Dama del Weyr. F’lar la vide arrossire abbassando gli occhi.
«Chi c’è alle nostre porte, F’nor?» domandò in tono affabile il nuovo Comandante del Weyr.
«I Signori di Telgar, Nabol, Fort e Keroon, tanto per citare le bandiere più importanti,» rispose F’nor con lo stesso tono.
R’gul si alzò: la protesta che gli affiorava alle labbra si spense nello scorgere le espressioni dei cavalieri bronzei. S’lel, che gli stava accanto, cominciò a borbottare qualcosa d’incomprensibile, tormentandosi il labbro inferiore.
«Forza calcolata?»
«Un po’ più di mille uomini. In buon ordine e bene armati,» riferì F’nor, indifferente.
F’lar lanciò al suo vice un’occhiata di rimprovero. Una cosa era la fiducia in se stessi, e l’indifferenza era preferibile all’avvilimento: ma era poco saggio negare che la situazione era molto pericolosa.
«Contro il Weyr?» ansimò S’lel.
«Siamo dragonieri o vigliacchi?» scattò D’nol, balzando in piedi e battendo un pugno sulla tavola. «Questo è l’insulto decisivo.»
«Sì,» confermò di slancio F’lar.
«E dobbiamo rintuzzarlo. Non sopporteremo altro,» continuò veemente D’nol, incoraggiato dall’atteggiamento di F’lar. «Basterà qualche fiammata…»
«Basta così,» disse F’lar con voce dura. «Noi siamo dragonieri! Ricordatelo. E ricordate anche… non dimenticatelo mai… che il nostro ordine ha la missione di proteggere.» Pronunciò con forza quella parola, inchiodando gli uomini, uno dopo l’altro, con uno sguardo ardente. «È chiaro?» Fissò D’nol con aria severamente interrogativa. Non dovevano esserci eroismi personali, quel giorno.
«Non abbiamo bisogno di pietre focaie,» continuò, sicuro che D’nol lo aveva compreso benissimo, «per disperdere questi sciocchi Signori.» Si appoggiò alla spalliera del seggio e proseguì, con più calma. «Nel corso della Cerca ho notato, e sicuramente l’avrete notato anche tutti voi, che la gente non ha affatto perduto, diciamo… il suo rispetto per i draghi.»
T’bor sogghignò; qualcun altro ridacchiò, a quel ricordo.
«Sicuro, seguono i loro Signori, incitati dall’indignazione e da notevoli quantità di vino nuovo. Ma è tutta un’altra cosa affrontare un drago quando si è a piedi stanchi, accaldati e sobri, senza avere una Fortezza a portata di mano.» F’lar intuì subito l’approvazione degli altri. «E gli uomini montati saranno troppo occupati con le loro bestie per essere in grado di combattere sul serio,» aggiunse con una risata sommessa, cui fecero eco quasi tutti i presenti.
«Sebbene queste considerazioni siano consolanti, ci sono altri fattori importantissimi che giocano in nostro favore. Credo che i buoni Signori delle Fortezze non si siano presi il disturbo di esaminarli. Sospetto,» disse, guardandosi intorno sardonicamente, «che li abbiano dimenticati. Come hanno dimenticato gran parte della tradizione e della storia dei draghi.
«È venuto il momento di rieducarli.» La sua voce era d’acciaio. Un mormorio di approvazione gli fece eco. Bene, li aveva conquistati.
«Per esempio, sono qui, davanti alle nostre porte. Hanno fatto un viaggio lungo e difficile per raggiungere questo Weyr così lontano. Senza dubbio, alcune unità sono in marcia da settimane. F’nor,» disse, in un ’a parte’ ben calcolato, «ricordati che più tardi dovremo discutere i piani dei voli di pattugliamento. E ora domandate a voi stessi, dragonieri: se i Signori delle Fortezze sono qui, chi difende quelle terre in loro nome? Chi vigila sulle Fortezze Interne, tanto care a tutti i Signori?»
Udì subito la risata maligna di Lessa. Era più sveglia lei di tutti i cavalieri bronzei. Aveva scelto bene, quel giorno a Ruatha, anche se era stato costretto a uccidere durante una Cerca.
«La nostra Dama del Weyr ha compreso il mio piano. T’sum, procedi a completarlo.» Lanciò quell’ordine in tono energico. T’sum se ne andò, ostentando un ampio sogghigno.
«Non capisco,» si lagnò S’lel, sbattendo confuso le palpebre.
«Oh, lascia che lo spieghi io,» s’intromise svelta Lessa, con quel tono soave e ragionevole che F’lar aveva imparato a riconoscere, in lei, come il più pericoloso. Non poteva biasimarla se ci teneva a pareggiare il suo conto con S’leclass="underline" ma quella sua passione per la vendetta poteva diventare rischiosa.
«Qualcuno dovrà pure spiegare qualcosa,» disse S’lel, in tono querulo. «Non mi piace quel che sta succedendo. I Signori delle Fortezze sulla Strada della Galleria. I draghi autorizzati a mangiare pietre focaie. Non capisco.»