Poi l’uccisione di Fax. Per quanto quell’uomo avesse nutrito ambizioni pericolose, era pur sempre del Sangue. E nessuno aveva chiesto al Weyr d’immischiarsi negli affari delle Terre Alte.
E quei furti continui. Era più che abbastanza. Oh, si poteva chiudere un occhio, finché spariva qualche capo dalle mandrie. Ma quando un drago usciva dal nulla (una facoltà, quella, che turbava profondamente Larad), e afferrava i migliori stalloni di un branco protetto e nutrito con ogni cura, era troppo!
Bisognava fare capire al Weyr che la sua posizione era subordinata. Avrebbe dovuto trovare altre soluzioni per sfamare la sua gente, perché nessuno avrebbe più inviato le dècime. Benden, Bitra e Lemos avrebbero smesso ben presto; e avrebbero dovuto rallegrarsi di veder finire la superstiziosa supremazia del Weyr.
Eppure, via via che si avvicinava alla montagna gigantesca, Larad sentiva crescere i propri dubbi, e si chiedeva in che modo i Signori sarebbero riusciti a penetrarvi. Fece segno a Meron, il cosiddetto Signore di Nabol (in realtà, lui non si fidava troppo di quel furbo ex Connestabile, che non aveva neppure una goccia del Sangue nelle vene) perché si avvicinasse a lui con la sua cavalcatura.
Meron sferzò il suo animale e lo portò al fianco di Larad.
«Non c’è altra strada per entrare nel Weyr, se non passando dalla Galleria?»
Meron scosse il capo.
«Lo confermano anche gli abitanti del luogo.» Non sembrava impressionato; ma non gli sfuggì l’espressione dubbiosa di Larad.
«Ho mandato avanti un drappello, all’orlo meridionale del Picco,» e tese la mano in quella direzione. «Potrebbe esserci una parete bassa, lì, e potremmo scalarla.»
«Hai mandato un drappello senza consultarci? Io sono stato scelto come comandante…»
«È vero,» concesse Meron, mostrando amabilmente i denti. «È stata una mia idea.»
«Ammetto che potrebbe esservi una via d’accesso, da quella parte, ma avresti fatto meglio…» Larad alzò lo sguardo verso il Picco.
«Ci hanno visti, non dubitare, Larad,» lo rassicurò Meron, scrutando con disprezzo il Weyr silenzioso. «Basterà. Diamogli l’ultimatum, e si arrenderanno, di fronte a un esercito così imponente. Si sono dimostrati vili troppe volte, ormai. Ho insultato due volte il cavaliere bronzeo che chiamano F’lar, e lui l’ha ignorato. Quale uomo si sarebbe comportato così?»
Un improvviso fruscio rombante, una sferzata dell’aria più gelida del mondo interruppero il loro dialogo. Mentre cercava di trattenere la sua bestia atterrita, Larad scorse una visione confusa di draghi d’ogni colore e d’ogni grandezza, onnipresenti. L’aria vibrava delle strida terrorizzate delle cavalcature, delle grida degli uomini sbalorditi e spaventati.
A fatica, Larad riuscì a far girare il suo animale verso i draghi.
Per il Vuoto che ci ha generati, pensò, mentre cercava di dominare la propria paura, avevo dimenticato che i draghi fossero così grandi.
All’avanguardia di quello schieramento spaventoso c’era una formazione triangolare di quattro enormi mostri bronzei; le loro ali si sovrapponevano in uno sventolio tremendo, mentre si libravano a poca distanza dal suolo. A una lunghezza di drago più in alto, era schierata una seconda fila, più lunga e più ampia, di draghi marroni. In una curva vastissima, ancora più in alto, c’erano altri draghi marroni, e azzurri e verdi. Con le ali immani sventagliavano raffiche di aria gelida su quella folla disordinata e atterrita che fino a un attimo prima era stato un esercito.
Larad si chiese da dove provenisse quel freddo penetrante. E subito dovette tirate di nuovo la briglia della sua cavalcatura, che aveva ricominciato a sgroppare.
I dragonieri si limitavano a starsene seduti sui colli dei loro mostri, in attesa.
«Di’ loro che smontino da quelle bestie e che le mandino via, così potremo discutere,» urlò Meron a Larad, mentre la sua cavalcatura piroettava urlando di terrore.
Larad segnalò ai fanti di avanzare, ma occorse l’intervento di quattro uomini per ogni animale, perché i Signori potessero smontare.
Ecco il secondo errore di calcolo, pensò amaramente Larad. Avevamo dimenticato quale effetto fanno i draghi sugli animali di Pern, uomo incluso. Sistemò la spada, si assestò i guanti sui polsi, e girò di scatto la testa verso gli altri Signori, che si fecero avanti tutti insieme.
Quando vide i Signori smontare, F’lar disse a Mnementh di passare alle prime tre file l’ordine di atterrare. Come un’ondata immane, i draghi si posarono obbedienti al suolo, ripiegando le ali con un fruscio sconvolgente.
Mnementh riferì a F’lar che i draghi erano eccitati e soddisfattissimi. Era molto più divertente dei Giochi.
F’lar gli rispose, severo, che quello non era affatto un divertimento.
«Larad di Telgar,» si presentò il primo dei Signori, con voce energica; aveva modi soldateschi e molto sicuri, per essere relativamente molto giovane.
«Meron di Nabol.»
F’lar riconobbe subito il volto scuro dai lineamenti appuntiti e dagli occhi irrequieti. Era un individuo meschino, capace di qualunque provocazione.
Mnementh trasmise a F’lar un insolito messaggio pervenutogli dal Weyr. Il dragoniere annuì impercettibilmente e continuò a rispondere alle presentazioni.
«Sono stato scelto come portavoce,» cominciò Larad di Telgar. «I Signori delle Fortezze hanno deciso all’unanimità che il Weyr ha esaurito la sua funzione. Di conseguenza, le richieste del Weyr sono inaccettabili. Non dovranno esservi più Cerche nelle Fortezze. Né scorrerie di dragonieri ai danni delle mandrie e dei granai.»
F’lar lo ascoltò con cortese attenzione. Larad aveva parlato bene e concisamente. Annuendo, F’lar scrutò attentamente, uno dopo l’altro, i Signori che gli stavano di fronte, valutandoli in fretta. Quei visi severi esprimevano convinzione e legittima indignazione.
«Io, F’lar, cavaliere di Mnementh, ti rispondo nella mia qualità di Comandante del Weyr. Ho ascoltato le vostre lagnanze. Ora ascoltate gli ordini del Comandante del Weyr.» Aveva abbandonato ogni atteggiamento distratto. Mnementh lanciò un rombo minaccioso, per sottolineare la voce metallica della sua guida che echeggiava attraverso il pianoro, in modo che anche tutto l’esercito potesse udire.
«Voi tornerete alle vostre Fortezze. Poi vi recherete nei granai e tra le mandrie. Raccoglierete una dècima giusta ed equa, e la invierete al Weyr tre giorni dopo il vostro ritorno.»
«Il Comandante del Weyr ordina ai Signori di pagare le dècime?» fece Meron di Nabol, con una risata di derisione.
F’lar fece un segnale, e altri due squadroni di dragonieri si portarono ad aleggiare sopra il contingente di Nabol.
«Il Comandante del Weyr ordina ai Signori di pagare le dècime,» confermò F’lar. «E fino al momento in cui le dècime arriveranno, ci dispiace informarvi che le dame di Nabol, Telgar, Fort, Igen, Keroon dovranno restare con noi. E anche le dame di Balan, Gar…»
Si interruppe, perché i Signori mormoravano rabbiosi ed eccitati, nell’ascoltare l’elenco degli ostaggi. F’lar comunicò a Mnementh un messaggio da inoltrare in fretta.
«Questo bluff non riuscirà,» ringhiò Meron, facendosi avanti con la mano sull’impugnatura della spada. Le scorrerie ai danni delle mandrie erano credibili: erano avvenute. Ma le Fortezze erano sacrosante! Non avrebbero mai osato…
F’lar avvertì Mnementh di far passare il segnale, e apparve lo squadrone di T’sum. Ogni cavaliere reggeva una Dama sul collo del proprio drago. T’sum mantenne la sua schiera in volo, ma abbastanza vicino perché i Signori potessero identificare quelle donne spaventate o isteriche.
Il viso di Meron fu stravolto dall’orrore e da un odio più intenso.
Larad si fece avanti, distogliendo a forza lo sguardo dalla sua Dama. Era la sua nuova moglie, e l’amava molto. Era una piccola consolazione constatare che non piangeva e non sveniva, perché era una donna serena e coraggiosa.