«Sarà un piacevole cambiamento,» riconobbe F’lar.
Lessa tacque per qualche istante.
«La Stella Rossa ha compiuto le previste manovre?» chiese poi.
Lui annuì.
«E i dubbi di R’gul sono stati spazzati via da quel rosso splendore illuminante?»
«Per niente» rispose F’lar con un sogghigno, ignorando quel sarcasmo. «Per niente. Comunque, non griderà più tanto per esprimere le sue critiche.»
Lessa inghiottì in fretta il boccone, per riprendere a parlare.
«Faresti bene a stroncare le sue critiche,» disse, implacabile, agitando il coltello come se volesse piantarlo nel cuore a qualcuno. «Lui non sarà mai disposto ad accettare con buona grazia la tua autorità.»
«Abbiamo bisogno di tutti i cavalieri bronzei… Sono soltanto sette, lo sai bene,» le ricordò, secco. «R’gul è un buon comandante di squadrone. Diventerà ragionevole quando scenderanno i Fili. Ha bisogno di prove, per rinunciare ai suoi dubbi.»
«E la Stella Rossa inquadrata nella Pietra dell’Occhio non costituisce una prova?» Lessa lo fissava con le pupille espressive, spalancate.
F’lar, intimamente, era della stessa opinione di Lessa, era convinto che sarebbe stato molto più opportuno liberarsi della contestazione ostinata di R’gul. Ma non poteva sacrificare un comandante di squadrone, perché aveva un bisogno disperato di tutti i draghi e di tutti i loro cavalieri.
«Io non mi fido di lui,» aggiunse Lessa, in tono cupo. Sorseggiò la bevanda bollente; i suoi occhi grigi, oltre l’orlo del boccale, apparivano rannuvolati. Come se, pensò F’lar, non si fidasse neppure di me.
E infatti non si fidava più che tanto. L’aveva fatto capire chiaramente; e in tutta sincerità, lui non poteva biasimarla. Comprendeva che tutte le aspirazioni di lui venivano compiute al fine di realizzare un unico scopo: la salvezza e la sopravvivenza dei draghi e degli abitanti del Weyr, e quindi la salvezza e la sopravvivenza di Pern. Per realizzare quello scopo, F’lar aveva bisogno della sua piena collaborazione. Quando si discuteva dei draghi o degli affari del Weyr, Lessa sembrava dimenticare l’antipatia per lui. Nelle riunioni lo sosteneva senza riserve, con argomenti persuasivi; eppure, lui sospettava sempre che i commenti fossero a doppio taglio, e le scorgeva negli occhi un’espressione calcolatrice e dubbiosa. E F’lar aveva bisogno non solo della sua tolleranza, ma anche della sua comprensione.
«Dimmi,» chiese la giovane donna, dopo un lungo silenzio, «il Sole ha toccato la Roccia del Dito prima che la Stella Rossa venisse incorniciata nella Roccia dell’Occhio, oppure dopo?»
«Per la verità, non ne sono molto sicuro, perché non l’ho visto … Dura soltanto pochissimi istanti… Ma a quanto si sa, i due eventi dovrebbero essere simultanei.»
Lessa aggrottò la fronte, acida.
«A chi stavi dedicando la tua attenzione? A R’gul?» Era veramente indignata, e i suoi occhi ardenti di collera guardavano qua e là, evitando il viso di lui.
«Io sono il Comandante del Weyr,» l’informò F’lar, seccamente. Quella ragazza era proprio irragionevole.
Prima di chinare il capo per terminare il pasto, Lessa gli lanciò una lunga, durissima occhiata. Mangiava molto poco, in fretta e con grazia. In confronto a Jora, in un giorno non mangiava neppure quello che sarebbe bastato a nutrire un bimbo ammalato. Ma era assurdo fare paragoni tra Lessa e Jora.
F’lar terminò di far colazione, e ammucchiò i due boccali sul vassoio vuoto. Lei si alzò senza dir nulla, prese i piatti e li portò via.
«Andremo non appena il Weyr sarà libero,» disse l’uomo.
«È quello che avevi detto tu.» Con un cenno del capo, Lessa indicò la regina, visibile attraverso l’arcata. «Dobbiamo aspettare Ramoth.»
«Ma non si sta svegliando? È un’ora che continua ad agitare la coda.»
«Fa sempre così, verso quest’ora.»
F’lar si appoggiò alla tavola, inarcando le sopracciglia in un’espressione pensosa, e osservò la punta dorata e forcuta della coda della regina sbattere convulsamente di qua e di là.
«Anche Mnementh. E sempre all’alba o di prima mattina. Come se, in un modo o nell’altro, associassero quest’ora a qualche cosa di sgradevole…»
«O al levarsi della Stella Rossa?» l’interruppe Lessa.
Una sottile differenza nel suo tono costrinse F’lar a lanciarle una rapida occhiata. Non c’era più la collera per non essere stata invitata ad assistere al fenomeno di quel mattino. Guardava nel vuoto; il viso, dapprima disteso, si contrasse in un cipiglio vagamente ansioso. Rughe sottili si incisero tra le sopracciglia inarcate, disegnate con grazia.
«L’alba… è allora che giungono tutti gli avvertimenti,» mormorò lei.
«Che genere di avvertimenti?» chiese F’lar, incoraggiante.
«Quel mattino… pochi giorni prima… prima che tu e Fax arrivaste alla Fortezza di Ruatha. Qualcosa mi svegliò… una sensazione, come una pressione pesante… la sensazione di un pericolo tremendo che mi minacciasse.» Fece una pausa. «La Stella Rossa si stava appena levando.» Aprì e chiuse le dita della mano sinistra, poi rabbrividì, convulsamente, tornò a concentrare lo sguardo sul volto dell’uomo.
«Tu e Fax arrivaste da Nord-Est, dalla direzione di Crom,» disse, con voce tagliente. Ignorava un particolare, pensò F’lar: anche la Stella Rossa si levava un poco più a Nord dell’oriente.
«Infatti,» le rispose con un sogghigno; ricordava benissimo quella mattina. «Tuttavia,» aggiunse, indicando con un gesto la grande caverna, «credo di esserti stato utile, quel giorno… Tu lo ricordi con dispiacere?»
Lo sguardo che ottenne in risposta era freddo e imperscrutabile.
«Il pericolo viene in molte forme.»
«D’accordo,» rispose F’lar, amabilmente, deciso a non abboccare alla provocazione. «Hai avuto altri risvegli del genere?» domandò, in tono discorsivo.
Il silenzio assoluto lo spinse a rivolgere nuovamente lo sguardo verso di lei. Era divenuta pallidissima.
«Il giorno in cui Fax invase la Fortezza di Ruatha.» La voce era un bisbiglio quasi inarticolato, gli occhi fissi e sbarrati, le mani strette all’orlo della tavola. Lessa rimase così a lungo in silenzio che F’lar cominciò a preoccuparsi. Era una reazione inaspettatamente violenta ad una domanda casuale.
«Parlamene,» le suggerì, sottovoce.
Lessa parlò in toni impersonali, privi di emozione, come se recitasse una Ballata Tradizionale, composta per narrare qualcosa accaduto ad un’altra persona.
«Ero ancora una bambina. Avevo appena undici anni. Mi svegliai all’alba…» La voce si smorzò. Gli occhi rimasero fissi nel vuoto, come se rivedessero la scena avvenuta tanto tempo prima.
F’lar si sentì spinto dal desiderio irrefrenabile di confortarla. Lo colpì comunque, sebbene fosse mosso da un’insolita compassione, il fatto che non aveva mai creduto Lessa tanto vulnerabile nei confronti di un antico terrore.
Mnementh informò seccamente il suo cavaliere che Lessa era molto turbata; al punto che la sua angoscia stava svegliando Ramoth. Poi, in toni meno accusatori, comunicò che R’gul aveva finalmente condotto via i suoi giovani allievi. Però Hath, il suo drago, era in condizioni di totale disorientamento, a causa dello stato d’animo di R’gul. F’lar doveva proprio sconvolgere tutti quanti, al Weyr…?
«Oh, finiscila,» ribatté F’lar, sottovoce.
«Perché?» domandò Lessa, con la sua voce normale.
«Non mi riferivo a te, mia cara Dama del Weyr,» la rassicurò con un sorriso gentile, come se quell’interludio non vi fosse mai stato. «Mnementh non fa altro che dare consigli, in questi giorni.»
«Tale il cavaliere, tale il drago,» replicò lei, acida.
Ramoth sbadigliò poderosamente. Lessa balzò subito in piedi, corse a fianco del suo drago: la figuretta snella appariva ancora più minuta, accanto all’enorme testa della regina.