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Un’espressione tenera, adorante le soffuse il volto mentre guardava negli occhi opalescenti di Ramoth. F’lar strinse i denti, invidioso, per l’Uovo!, di quell’affetto.

Udì risuonare nella propria mente la risata di Mnementh.

«Ramoth ha fame,» gli disse Lessa. Un riflesso del suo amore per la regina indugiava ancora nella linea morbida delle labbra, nella dolcezza degli occhi grigi.

«Ha sempre fame,» osservò F’lar, seguendole.

Mnementh si tenne cortesemente librato a poca distanza dal cornicione fino a quando Ramoth e Lessa furono in volo. Planarono sopra la Conca, oltre il laghetto avvolto dai vapori, verso il campo del pasto, all’estremità più lontana dell’ovale allungato che costituiva il fondo del Weyr di Benden. Le pareti ripide e striate erano costellate dalle aperture nere degli alloggi, abbandonati a quell’ora anche dai draghi che più tardi si sarebbero messi a sonnecchiare al Sole invernale, distesi sui cornicioni.

Mentre balzava sul liscio collo bronzeo di Mnementh, F’lar si augurò che la covata di Ramoth fosse spettacolosa, e cancellasse il ricordo ignominioso della misera dozzina di uova deposte da Nemorth in ognuna delle ultime covate.

Non aveva più dubbi circa un miglioramento, dopo lo straordinario volo nuziale con Mnementh. Il drago bronzeo riecheggiò vanitosamente la sicurezza del suo cavaliere: entrambi guardarono con aria possessiva la regina che incurvava le ali per atterrare. Era grande il doppio di Nemorth, tanto per cominciare; le sue ali erano ampie una volta e mezzo quelle di Mnementh, il quale era il più grosso dei sette maschi bronzei. F’lar contava su Ramoth per ripopolare i cinque Weyr deserti, come contava su se stesso e su Lessa per ringiovanire l’orgoglio e la fede dei dragonieri e di tutto Pern. Sperava soltanto che gli rimanesse il tempo per fare quanto era necessario. La Stella Rossa era già apparsa incorniciata dalla Roccia dell’Occhio. I Fili avrebbero incominciato presto a cadere. Da qualche parte, in una delle Cronache degli altri Weyr, dovevano esserci le informazioni di cui aveva bisogno per accertare con esattezza quando i Fili avrebbero iniziato la loro discesa dal cielo.

Mnementh atterrò, e F’lar balzò dal suo collo incurvato per posarsi accanto a Lessa. Insieme, i tre seguirono con lo sguardo Ramoth che, con una preda stretta in ciascuna delle zampe anteriori, si stava portando verso un cornicione.

«Non le calerà mai l’appetito?» chiese Lessa, con affettuoso sbigottimento.

Da piccola, Ramoth aveva mangiato per crescere. Adesso aveva raggiunto la grandezza di adulta, e naturalmente mangiava per i suoi piccini: e lo faceva con il massimo impegno.

F’lar ridacchiò e si accosciò. Raccolse pezzi piatti di pietra, e li lanciò attraverso il suolo arido e liscio, contando gli sbuffi di polvere dei rimbalzi con impegno infantile.

«Verrà il momento in cui la smetterà di mangiare tutto quello che vede,» garantì a Lessa. «Ma è giovane…»

«E ha bisogno di tutte le sue forze,» l’interruppe Lessa; la sua voce imitava discretamente i toni pedanteschi di R’gul.

F’lar alzò gli occhi verso di lei, e subito li socchiuse, abbagliato dai raggi obliqui del sole invernale.

«È un animale magnifico, specialmente in confronto a Nemorth.» Lanciò uno sbuffo sprezzante. «Anzi, non c’è confronto. Comunque, sta’ a vedere,» ordinò, perentorio.

Batté con la mano la sabbia, pareggiandola, e Lessa capì che quei gesti apparentemente oziosi avevano un significato. Con una scheggia di pietra, lui tracciò uno schema, a colpi rapidi.

«Per portare un drago in mezzo, bisogna che lui sappia dove andare. E devi saperlo anche tu.» Sogghignò in risposta all’espressione di sorpresa e d’indignazione apparso sul volto della giovane donna. «Un balzo mal calcolato ha conseguenze gravissime. Se si visualizzano male i punti di riferimento, spesso si finisce per restare in mezzo.» Abbassò la voce, cupamente, il viso sgombro da ogni risentimento. «Perciò a tutti i giovani vengono insegnati certi punti di riferimento. Questo,» e indicò prima lo schema, poi la vera Pietra della Stella, con le Rocce del Dito e dell’Occhio, sul Picco di Benden, «è il primo punto di riferimento che imparano gli allievi. Quando ti porterò in volo, raggiungerai una quota poco al di sopra della Pietra della Stella, abbastanza vicina perché tu possa vedere chiaramente il foro della Roccia dell’Occhio. Fissati bene in mente quell’immagine, e trasmettila a Ramoth. Servirà a farti ritornare sempre a casa.»

«Ho capito. Ma come faccio a imparare i punti di riferimento dei posti che non ho mai visto?»

F’lar sorrise.

«Li impari con l’esercizio. Per prima cosa te li insegna il tuo istruttore.» Indicò se stesso con la scheggia di pietra. «E poi ci andrai, dando a Ramoth le direttive di farsi trasmettere la visualizzazione dal suo istruttore.» E indicò Mnementh. Il drago bronzeo abbassò la testa appuntita fino a quando uno dei suoi occhi si fissò sui due esseri umani. Emise dal profondo del petto un rombo soddisfatto.

Lessa rise e, con un gesto inaspettatamente affettuoso, accarezzò il naso morbido del drago.

F’lar si schiarì la gola, sorpreso. Si era accorto che Mnementh dimostrava un affetto insòlito per la Dama del Weyr, ma non aveva immaginato che anche Lessa provasse della tenerezza per il bronzeo. Si sentì stranamente irritato.

«Comunque,» disse F’lar, con un tono che suonò innaturale alle sue stesse orecchie, «noi conduciamo gli allievi da uno all’altro dei principali punti di riferimento di tutto Pern, e a tutte le Fortezze, in modo che abbiano impressioni visive dirette sulle quali contare. Quando poi un cavaliere impara a riconoscere i punti di riferimento, riceve ulteriori indicazioni dai suoi compagni. Perciò, per andare in mezzo, in realtà è necessaria una cosa sola: un’immagine chiara del posto dove vuoi andare. Ah, e anche un drago!» Le sorrise. «Inoltre, devi sempre stabilire di arrivare al di sopra del tuo punto di riferimento, all’aria aperta.»

Lessa aggrottò la fronte.

«È molto meglio arrivare all’aria aperta,» fece F’lar, agitando una mano sopra la propria testa, «piuttosto che sottoterra,» e sbatté le dita aperte sulla subbia, da cui si levò, ammonitore, uno sbuffo di polvere.

«Ma gli squadroni sono passati in mezzo all’interno della Conca, il giorno in cui sono arrivati i Signori delle Fortezze,» gli ricordò Lessa.

F’lar ridacchiò.

«È vero. Ma erano i cavalieri più esperti. Una volta abbiamo ritrovato un drago e la sua guida sepolti insieme nella roccia. Erano… erano molto giovani,» aggiunse, fissando lo sguardo nel vuoto.

«Ho capito,» lo rassicurò lei, con aria grave. «E quella è la quinta,» aggiunse, indicando Ramoth, che stava portando la quinta preda sul cornicione insanguinato.

«Oggi le smaltirà, ti garantisco,» rispose F’lar. Si alzò, pulendosi le ginocchia con colpi secchi dei guanti da volo. «Prova a vedere di che umore è.»

Lessa lanciò un silenzioso Hai mangiato abbastanza? e registrò con una smorfia l’indignata risposta di Ramoth.

La regina planò veloce verso un uccello colossale, si risollevò in una confusione di piume grige, bianche e brune.

«Non è affamata come ti vuol far credere, quell’imbrogliona,» ridacchiò F’lar, e si accorse che anche Lessa era giunta alla stessa conclusione, perché lanciava dagli occhi lampi di esasperazione.

«Quando hai finito quell’uccello, Ramoth, ricorda che dobbiamo imparare a volare in mezzo,» disse Lessa a voce alta, perché l’udisse F’lar. «Prima che il nostro buon Comandante del Weyr cambi idea!»

Ramoth alzò gli occhi dalla preda, girò la testa verso i due che si trovavano sul limitare del campo del pasto. Gli occhi le brillarono. Piegò di nuovo il muso sulla vittima, ma Lessa sentì che le avrebbe obbedito.