Lessa tremava violentemente. Lui la cinse con un braccio, stringendo la coperta di pelliccia attorno a quel corpo sottile. Le accostò il boccale alle labbra, costringendola a bere. Sentì i tremiti attenuarsi, poco a poco. Lessa traeva lunghi respiri lenti e profondi tra una sorsata e l’altra, decisa a riprendere il suo autocontrollo. F’lar la lasciò andare nel momento in cui la sentì irrigidirsi sotto il suo braccio. Si chiese se lei avesse mai avuto qualcuno da amare. Certo, non dopo che Fax aveva invaso la sua Fortezza. Aveva solo undici anni a quel tempo: una bambina. L’odio e la vendetta erano stati gli unici sentimenti possibili, quando era cresciuta?
Lessa riabbassò il boccale, stringendolo con cura tra le mani, come se avesse assunto, per lei, un’importanza indefinibile.
«Avanti. Racconta,» ordinò F’lar, con calma.
Lei trasse un altro profondo respiro e cominciò a parlare, stringendo le dita attorno al boccale. Il turbamento interiore non era diminuito: era soltanto sotto controllo.
«Ramoth ed io eravamo stanche di questi esercizi puerili,» ammise, candidamente.
F’lar riconobbe, con rabbia, che se anche quell’avventura poteva averle insegnato ad essere più prudente, non l’aveva di certo indotta all’obbedienza. Cominciava a pensare che nulla potesse riuscire a tanto.
«Le ho trasmesso l’immagine di Ruatha, per andarci.» Non lo guardava: il suo profilo spiccava contro la pelliccia scura della coperta. «La Ruatha che conoscevo così bene… per caso, mi sono trasportata indietro nel tempo, al giorno dell’invasione di Fax.»
F’lar, adesso, poteva comprendere il suo turbamento.
«E ho visto me stessa…» La voce le si spense. Riprese, con uno sforzo. «Avevo visualizzato, per Ramoth, la fine delle fosse delle pietre focaie e l’angolo della Fortezza, come si vede dall’alto, guardando nel Cortile interno. Siamo emerse lì. Era appena l’alba…» alzò il mento in uno scatto nervoso. «… e in cielo non c’era nessuna Stella Rossa.» Lanciò a F’lar una rapida occhiata difensiva, come se si aspettasse di sentirlo contestare quel dettaglio. «E ho visto gli uomini che strisciavano oltre le fosse, e calavano scale di corda verso le finestre più alte della Fortezza. Ho visto la sentinella della Torre che guardava. Guardava e basta.» Strinse i denti al pensiero del tradimento, con uno scintillio malevolo negli occhi. «E ho visto me stessa fuggire dalla Sala nel covile del wher da guardia. E sai,» proseguì, abbassando la voce in un bisbiglio amaro, «sai perché il wher da guardia non ha dato l’allarme alla Fortezza?»
«Perché?»
«Perché c’era un drago nel cielo ed io, Lessa di Ruatha, ero la sua guida.» Scagliò via il boccale come se avesse voluto scagliare lontano da sé anche quella certezza. «Perché io ero là, il wher da guardia non ha dato l’allarme alla Fortezza, pensando che l’intrusione fosse legittima, poiché una del Sangue era sul collo di un drago, nel cielo. Quindi…» Il suo corpo s’irrigidì, le mani si serrarono strettamente, fino a che le nocche sbiancarono. «Io sono stata la causa dello sterminio della mia famiglia. Non Fax! Se oggi non mi fossi comportata come una sciocca, non sarei stata là con Ramoth, e il wher da guardia avrebbe…»
La sua voce era diventata stridula e isterica. F’lar la schiaffeggiò con forza, l’afferrò per scrollarla.
L’espressione stordita e tragica di Lessa lo spaventò. L’indignazione sbollì. L’indipendenza indomabile della mente e dello spirito di quella ragazza l’attraeva non meno della sua strana, cupa bellezza. Per quanto i suoi modi fossero esasperanti, costituivano una parte troppo vitale della sua personalità perché fosse giusto esorcizzarli. Quella volontà indomita aveva subito una scossa tremenda, quel giorno, ed era meglio rinsaldare in fretta la sua fiducia in se stessa.
«Al contrario, Lessa,» disse F’lar, in tono severo. «Fax avrebbe comunque sterminato i tuoi familiari. Aveva fatto i piani con molta cura, aveva programmato l’attacco all’alba, quando c’era di sentinella alla Torre un uomo disposto a lasciarsi corrompere. Ricorda, poi, che era l’alba, e il wher da guardia, un animale notturno che non vede nella luce del giorno, in quel momento viene sollevato dalla sua responsabilità, e lo sa bene. La tua presenza, per quanto ti possa sembrare inopportuna, non è stata affatto il fattore determinante. Anzi, e ti prego di notare questo fatto importantissimo, ti ha permesso di salvare te stessa bambina. Non lo capisci?»
«Avrei dovuto gridare,» mormorò lei; ma l’espressione frenetica era scomparsa nei suoi occhi, e le labbra stavano riacquistando una parvenza di colore normale.
«Se vuoi continuare a torturarti per queste colpe presunte, accomodati,» disse F’lar, con voluta insensibilità.
Ramoth s’intromise lanciando un pensiero: poiché loro due erano state là, la prima volta, quando gli uomini di Fax preparavano l’invasione, ormai era fatta, e quindi, come si potevano cambiare gli avvenimenti? L’azione era inevitabile, sia in quel giorno che oggi. Altrimenti, come avrebbe potuto sopravvivere, Lessa, per arrivare al Weyr e compiere lo Schema di Apprendimento di Ramoth al momento della Schiusa?
Mnementh trasmise scrupolosamente il messaggio di Ramoth, imitando persino le sfumature egocentriche della regina. F’lar fissò intento Lessa, per scrutare l’effetto di quelle osservazioni.
«È proprio tipico di Ramoth, volere l’ultima parola,» disse la giovane donna, con un’ombra della sua abituale ironia.
F’lar sentì che i muscoli del collo e delle spalle cominciavano a rilassarglisi. Lessa si sarebbe ripresa, decise, ma era meglio indurla a dire tutto subito, per inquadrare l’intera esperienza nella prospettiva esatta.
«Hai detto che ci siete state due volte?» F’lar si sistemò sul letto, osservandola attento. «Quando è stata la seconda?»
«Non indovini?» chiese lei, sarcastica.
«No,» mentì F’lar.
«E quando, se non in quell’alba, quando mi sono svegliata sentendo che la Stella Rossa era una minaccia, per me?… Tre giorni prima che tu e Fax arrivaste da Nord-Est.»
«Si direbbe,» osservò lui, asciutto, «che entrambe le volte la tua premonizione sia stata tu stessa.»
Lei annuì.
«Hai avuto altri presentimenti come quelli… o forse dovrei dire avvertimenti?»
Lessa rabbrividì, ma gli rispose in un tono che già le era più abituale.
«No. Ma se dovessi averli, sarai tu ad andare. Io non voglio.»
F’lar sogghignò maliziosamente.
«Comunque,» aggiunse lei, «vorrei sapere come e perché è potuto succedere.»
«Non ho mai trovato accenni a nulla di simile,» rispose lui, sinceramente. «Certo, se tu l’hai fatto… ed è innegabile che l’abbia fatto,» si affrettò a rassicurarla, non appena lei cominciò a protestare indignata, «è evidente che si può fare. Dici che hai pensato a Ruatha, ma l’hai visualizzata com’era in quel particolare giorno. Un giorno memorabile, certamente. Hai pensato alla primavera, prima dell’alba, senza la Stella Rossa… sì, ricordo che hai accennato a questo particolare. Quindi bisognerebbe ricordare riferimenti tipici di un giorno significativo per ritornare in mezzo nel passato.»
Lessa annuì lentamente, pensosa.
«La seconda volta hai usato lo stesso metodo, per tornare alla Ruatha di tre Giri fa. E anche allora, ovviamente, era primavera.»
F’lar si fregò le mani, poi le batté sulle ginocchia, e si alzò.
«Torno subito,» disse, e uscì dalla stanza, ignorando il grido di avvertimento di lei, quasi inarticolato.
Ramoth si stava raggomitolando nella sua grotta, quando le passò accanto. Notò che il suo colore rimaneva bellissimo, nonostante le energie sprecate nell’attività di quel mattino. Lo guardò, con un occhio sfaccettato già velato dalla palpebra interna.
Mnementh attendeva il suo cavaliere sul cornicione; decollò non appena questi gli fu balzato sul collo. Salì in grandi cerchi, librandosi sopra la Pietra della Stella.