«Sei stata sul Terreno della Schiusa, in questi ultimi tempi? Mettiti gli stivali. Con i sandali, ti bruceresti i piedi.»
Lessa rispose con un suono gutturale, e F’lar sorrise, apertamente divertito di quella incredulità.
«E poi, deve esserci lo Schema di Apprendimento; e bisogna aspettare fino a quando i cavalieri…» continuò lei.
«Perché credi che io abbia tanto insistito che si cercassero ragazzi più grandi? I draghi diventano adulti molto prima degli esseri umani.»
«Allora il sistema è difettoso.»
F’lar socchiuse gli occhi, agitando lo stilo.
«La tradizione dei draghi, all’inizio, fu una specie di guida… Ma viene il momento in cui l’uomo diventa troppo tradizionalista, troppo… come avevi detto? Ah, incartapecorito. Sì, è tradizionale servirsi dei giovani nati nel Weyr, perché è più comodo. E perché la sensibilità nei confronti dei draghi si rafforza, quando entrambi i genitori sono cresciuti nel Weyr. Ma questo non significa che sia sempre la scelta migliore. Tu, per esempio…»
«Nella casata di Ruatha c’è Sangue del Weyr,» osservò Lessa, in tono orgoglioso.
«L’ammetto. Prendi il giovane Naton; è figlio di artigiani di Nabol, eppure F’nor mi dice che è in grado di farsi capire da Canth.»
«Oh, non è una cosa difficile,» esclamò lei.
«Cosa intendi dire?» F’lar sussultò a quelle parole.
Furono interrotti da un lagno acutissimo, penetrante. F’lar ascoltò con attenzione per qualche istante, e poi scrollò le spalle, sogghignando.
«Qualche femmina verde che si sta facendo inseguire.»
«Ecco un altro particolare che quelle tue Cronache onniscienti non spiegano mai. Perché solo le femmine dorate possono riprodursi?»
F’lar non represse una risata maliziosa.
«Beh, innanzi tutto, le pietre focaie inibiscono la riproduzione. Se non masticasse mai pietre focaie, una verde potrebbe fare le uova, ma nella migliore delle ipotesi nascerebbero animali piccoli, e noi abbiamo bisogno di draghi grandi e robusti. E un’altra cosa,» continuò, senza smettere di ridacchiare. «Se le verdi potessero riprodursi, considerando il loro numero e le loro abitudini amorose, ci troveremmo sommersi dai draghi prima di avere il tempo di accorgercene.»
Al primo lagno se ne aggiunse un altro, poi un mormorio sommesso pulsò attorno a loro, come se venisse trasportato dalle stesse pietre del Weyr.
L’espressione di F’lar passò rapidamente dalla sorpresa al trionfo. Si alzò e si lanciò correndo lungo la galleria.
«Cosa succede?» domandò Lessa, raccogliendo le gonne per poterlo inseguire. «Cosa significa?»
Il mormorio risuonava dovunque, ed era particolarmente assordante nella caverna della regina. Lessa notò che Ramoth non c’era più. Udì i passi di F’lar allontanarsi lungo la galleria, in direzione del cornicione, un secco ta-ta-ta che sovrastava il mormorio tambureggiante. Il lagno era così acuto, ormai, che si udiva appena, ma straziava i nervi. Turbata e spaventata, Lessa seguì F’lar all’esterno.
Quando arrivò sul cornicione, la Conca era già un vortice di draghi in volo, diretti verso l’alto ingresso del Terreno della Schiusa. La gente del Weyr, cavalieri, donne, bambini, lanciando esclamazioni eccitate, stava attraversando la Conca, avviandosi verso l’entrata più bassa.
Scorse F’lar che si avventava verso l’ingresso, e gli gridò di aspettarla. Lui non l’udì, in quel baccano.
Furibonda al pensiero di essere costretta a scendere le lunghe scale, e poi di dover fare un ampio giro, perché la scala era proprio di fronte ai campi del pasto, all’estremità opposta della Conca rispetto al Terreno della Schiusa, Lessa si rese conto che proprio lei, la Dama del Weyr, sarebbe stata l’ultima ad arrivare sul posto.
Perché Ramoth aveva deciso di fare tanto la misteriosa? Non era abbastanza affezionata alla sua compagna per volerla accanto a sé?
Un drago sa cosa deve fare, comunicò calma Ramoth a Lessa.
Avresti potuto dirmelo, gemette Lessa. Si sentiva molto trascurata.
Proprio nel momento in cui F’lar aveva continuato a parlare di covate spettacolose e di tremila draghi, quell’esasperante regina era andata a deporre le uova!
L’umore di Lessa non migliorò al ricordo di un’altra osservazione di F’lar… a proposito delle condizioni del Terreno della Schiusa. Nel momento in cui entrò nella caverna enorme, sentì il calore attraverso le suole dei sandali. Tutti quanti si erano raccolti in un cerchio irregolare, all’estremità più lontana della grotta. E tutti si dondolavano, spostando il peso da un piede all’altro. Poiché Lessa non era molto alta, quel movimento diminuiva per lei la probabilità di vedere cosa aveva fatto Ramoth.
«Fatemi passare!» ordinò imperiosamente, battendo i pugni sulle spalle ampie di due dragonieri.
Le aprirono un varco con riluttanza, e lei passò, senza degnare d’una occhiata gli emozionatissimi abitanti del Weyr. Era furiosa, confusa, offesa, e per giunta sapeva di essere ridicola, perché la sabbia caldissima la costringeva a procedere con un’andatura simile a un curioso passo di danza.
Poi si fermò, ad occhi spalancati, sbalordita nel vedere la massa delle uova, e dimenticò una cosa tanto banale come le scottature ai piedi.
Ramoth era acciambellata attorno alle uova, e sembrava enormemente soddisfatta di sé. Anche lei continuava a spostarsi, chiudendo e riaprendo un’ala sulle uova in atto di protezione, così che era difficile contarle.
Non te le ruberà nessuno, sciocca, quindi smettila di agitarti, ordinò Lessa, cercando di farne il conto.
Ramoth ripiegò le ali, obbediente. Tuttavia, per alleviare la propria ansia materna, cinse con il collo il gruppo di lucenti uova chiazzate e si guardò intorno, facendo vibrare dentro e fuori dalla bocca la lingua forcuta.
Nella caverna si levò un immenso sospiro, simile a un soffio di vento. Ora che Ramoth aveva ripiegato le ali, si vedeva risplendere un uovo d’oro lucente in mezzo alle uova chiazzate. Un uovo di regina!
«Un uovo di regina!» Il grido si levò contemporaneamente da una cinquantina di gole. Il Terreno della Schiusa risuonò di applausi, di evviva, di grida, di urla entusiastiche.
Qualcuno afferrò Lessa, la girò di slancio, la baciò sulla guancia. Lei aveva ripreso a malapena l’equilibrio quando si sentì abbracciare da qualcun altro — le parve che fosse Manora — e poi fu spinta qua e là, in una confusione festosa, sin quando si trovò a ondeggiare in una specie di danza, cercando di sfuggire agli entusiasti e di alleviare il crescente bruciore ai piedi.
Riuscì a liberarsi dalla folla mulinante e attraversò correndo il Terreno della Schiusa per accostarsi a Ramoth. Si arrestò di colpo davanti alle uova. Sembravano pulsare ed i gusci apparivano flaccidi. Avrebbe giurato che erano duri, il giorno in cui aveva compiuto lo Schema di Apprendimento di Ramoth. Avrebbe voluto toccarne uno, ma non osò.
Puoi toccarlo, la rassicurò condiscendente Ramoth, e le sfiorò la spalla con la lingua, delicatamente.
L’uovo era morbido, e Lessa ritrasse in fretta la mano, per timore di danneggiarlo.
Il calore l’indurirà, disse la regina.
«Ramoth, sono così fiera di te,» sospirò Lessa, levando lo sguardo adorante verso i grandi occhi in cui splendevano arcobaleni d’orgoglio. «Sei la regina più straordinaria che sia mai esistita. Credo che ripopolerai di draghi tutti i Weyr. Credo proprio che ci riuscirai.»
Ramoth inclinò regalmente la testa, poi cominciò a farla oscillare da destra a sinistra sulle uova, per proteggerle. All’improvviso prese a sibilare, da accovacciata che era si sollevò, battendo l’aria con le ali, prima di tornare a rannicchiarsi sulla sabbia per deporre un altro uovo.
Gli abitanti del Weyr, a disagio sulla sabbia caldissima, cominciavano a lasciare il Terreno della Schiusa, dopo aver reso omaggio alla venuta dell’uovo d’oro. Una regina impiegava parecchie settimane prima di completare la deposizione; quindi era inutile aspettare. Già sette uova stavano accanto a quello, importantissimo, d’oro: e se ce n’erano già sette, era un buon auspicio per quanto riguardava il futuro totale. Molti stavano già scambiandosi scommesse, mentre Ramoth deponeva il nono uovo.