Mentre F’lar si lanciava a corsa nella galleria che conduceva al cornicione, con i sacchi di pietre focaie che gli battevano contro le cosce, era contento di aver ordinato e compiuto i noiosi voli di pattugliamento su ogni Fortezza e su ogni depressione di Pern. Adesso poteva vedere chiaramente Nerat nella propria mente. Poteva vedere i fiordivite dai molti petali, caratteristica distintiva delle foreste pluviali in quel periodo dell’anno. I boccioli color avorio dovevano risplendere, nei primi raggi del sole, come occhi di drago, tra le alte piante a foglie larghe.
Mnementh, con gli occhi che lampeggiavano per l’eccitazione, era librato vicinissimo al cornicione. F’lar gli volteggiò sul collo bronzeo.
Il Weyr era un ribollire di ali d’ogni colore, ed echeggiava di grida e di ordini. L’atmosfera era elettrica, ma F’lar non avvertiva il minimo panico in quella confusione ordinata. Dalle aperture delle pareti della Conca uscivano draghi ed esseri umani. Le donne attraversavano frettolose il fondovalle, passando da una Caverna Inferiore all’altra. I bambini che giocavano in riva al lago vennero mandati a raccogliere legna per il fuoco. I giovani, sotto la guida del vecchio C’gan, si stavano schierando davanti alle caserme. F’lar alzò gli occhi verso il Picco e approvò la formazione serrata degli squadroni radunati in ordine di volo. Mentre guardava, si formò un altro squadrone. Riconobbe Canth, che portava F’nor sul collo, proprio nell’istante in cui l’intero squadrone sparì.
Ordinò a Mnementh di prendere quota. Il vento era freddo, e portava un sentore di umidità. Una nevicata tardiva? Sarebbe venuta nel momento più opportuno.
Lo squadrone di R’gul e quello di T’bor si aprirono a ventaglio sulla sua sinistra, quelli di T’sum e di D’nol alla sua destra. Notò che tutti i draghi erano stati caricati di sacchi. Poi trasmise a Mnementh la visualizzazione della foresta pluviale di Nerat all’inizio della primavera, un attimo prima dell’alba, con i fiordivite che brillavano, e il mare che si frangeva contro le rocce della Scogliera.
Sentì il freddo bruciante del mezzo; e nello stesso tempo si sentì trafiggere dal dubbio. Non era stato un incosciente, mandando i suoi, forse, incontro alla morte in mezzo al tempo, in quel tentativo di precedere i Fili a Nerat?
Poi emersero tutti nella luce livida che prometteva l’imminenza del giorno. I profumi lussureggianti della foresta pluviale li avvolsero. Era caldo, e questo era spaventoso. F’lar alzò lo sguardo, un poco verso settentrione. La Stella Rossa splendeva, pulsante di minaccia.
Gli uomini si erano resi conto di ciò che era accaduto, e le loro voci si levarono in esclamazioni di sbalordimento. Mnementh riferì a F’lar che i draghi erano un po’ sorpresi delle reazioni dei loro piloti.
«Ascoltatemi, dragonieri,» esclamò F’lar, con voce aspra e distorta nello sforzo di farsi udire. Attese che tutti gli uomini si fossero portati il più possibile vicini a lui. Disse a Mnementh di passare le informazioni agli altri draghi. Poi spiegò ciò che avevano fattto e perché. Nessuno parlò; ma molti si scambiarono occhiate cariche di nervosismo.
F’lar ordinò di spiegarsi a ventaglio, in formazione scalare, mantenendo una distanza di cinque ampiezze d’ali in senso verticale.
Il sole si levò.
Dal cielo, come una nebbia sempre più densa, scendevano obliqui attraverso il mare i Fili silenziosi, bellissimi, traditori. Quelle spore che avevano varcato lo spazio erano grigioargentee; dagli ovali duri e gelati erano spuntati rozzi filamenti, al contatto con il caldo involucro atmosferico di Pern. Del tutto privi di intelligenza, erano stati scagliati dal loro pianeta spoglio in direzione di Pern, in una pioggia terribile che cercava la materia organica per nutrirsi e crescere. Un Filo caduto sul terreno fertile penetrava profondamente propagandosi nel suolo caldo e devastandolo fino a ridurlo un deserto di polvere nera. Il continente meridionale di Pern era già stato inaridito in quel modo. I veri parassiti di Pern erano i Fili.
Un ruggito soffocato eruppe dalle gole di ottanta uomini e draghi, lacerando l’aria mattutina sopra le verdi alture di Nerat… Come se i Fili potessero udire quella sfida, pensò F’lar.
All’unisono, i draghi girarono le teste aguzze verso i loro piloti per ricevere le pietre focaie. Le grandi mascelle macerarono i pezzi di minerale, i frammenti vennero inghiottiti; gli animali chiesero altre pietre focaie. Entro il loro organismo gli acidi ribollivano, si preparavano le velenose fosfine. Quando i draghi avrebbero eruttato il gas, questo si sarebbe acceso a contatto dell’aria, in una fiamma devastante che avrebbe spazzato via i Fili dal cielo, li avrebbe arsi nel suolo.
Nel momento in cui i Fili incominciarono a cadere al di sopra delle spiagge di Nerat, l’istinto dei draghi prese il sopravvento.
Sebbene F’lar avesse sempre nutrito una sincera ammirazione per il suo compagno bronzeo, la sentì ingigantire nelle ore che seguirono. Battendo l’aria a grandi colpi d’ala, Mnementh si levò con l’alito fiammeggiante, incontro alla minaccia che calava dal cielo. I fumi, ricacciati indietro dal vento, soffocarono l’uomo, fino a quando questi decise di acquattarsi basso sul lato opposto del collo bronzeo. Il drago lanciò uno strillo, quando un Filo gli sfiorò la punta di un’ala. Immediatamente Mnementh e F’lar balzarono nel mezzo, freddo, sereno e nero. Il Filo, congelato, si frantumò. In un batter d’occhio, ritornarono ad affrontare la realtà dei Fili.
Attorno a sé, F’lar vide i draghi sparire nel mezzo e riapparire, lanciando fiamme, tuffarsi in picchiata e cabrare verso l’alto. Mentre l’attacco continuava e loro si spostavano al di sopra di Nerat, F’lar incominciò a riconoscere lo schema dei movimenti istintivi con cui i draghi schivavano e attaccavano. E anche i Fili avevano uno schema. Contrariamente a quanto aveva dedotto studiando le Cronache, i Fili cadevano a gruppi. Non come la pioggia, in rovesci continui e ininterrotti, ma come refoli di neve, spazzati all’improvviso qua e là; e mai in modo fluido, nonostante il loro nome.
All’improvviso, scorgevi una massa sopra di te. Allora il tuo drago saliva fiammeggiando. Provavi la gioia intensa di vedere quella massa raggrinzirsi, dal basso all’alto. Qualche volta, una massa riusciva a cadere nello spazio vuoto, in mezzo ai combattenti. Allora un drago segnalava che s’incaricava di seguirla, e si tuffava in picchiata, lanciando fiamme.
Gradualmente, i dragonieri si mossero al di sopra delle foreste pluviali, di un verde denso e invitante. F’lar rifiutò di pensare a ciò che sarebbe stato di quella terra lussureggiante, se anche un solo Filo fosse riuscito ad affondare nel suolo. Più tardi, avrebbe dovuto mandare una pattuglia a bassa quota, ad ispezionare ogni metro quadrato. Bastava un Filo, un Filo solo, per spegnere per sempre gli occhi d’avorio dei luminosi fiordivite.
Da qualche parte, sulla sua sinistra, un drago urlò. Prima che F’lar potesse identificarlo, s’era già rifugiato in mezzo. Udì altre grida di dolore, lanciate non solo dai draghi ma anche dagli uomini. Si concentrò, come facevano i draghi, sul presente immediato. Mnementh avrebbe ricordato, più tardi, quelle grida penetranti? F’lar si augurò che li dimenticasse, almeno in quel momento.
All’improvviso si sentì superfluo. Erano i draghi a combattere. Gli uomini incoraggiavano i loro animali, li confortavano quando i Fili li scottavano, ma dipendevano interamente dal loro istinto e dalla loro velocità.
Un fuoco ardente sgocciolò lungo la guancia di F’lar, penetrando come acido nella sua spalla… Dalle labbra gli eruppe un grido di sorpresa e di sofferenza. Misericordiosamente, Mnementh lo portò in mezzo. Il dragoniere lottò con le mani frenetiche contro i Fili, li sentì sbriciolarsi nel freddo intenso del mezzo, staccarsi spezzati. Disgustato, batté le mani sulle ferite che bruciavano ancora. Quando furono tornati nell’aria umida di Nerat, il bruciore parve calmarsi. Mnementh fece udire un mormorio di conforto, poi si tuffò in picchiata verso una massa di Fili, alitando fuoco.