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Robinton si alzò.

«’I Fili non cadranno. Sono invenzioni degli arpisti’,» sibilò, in un’imitazione impeccabile del tono di Nessel. «’Questi dragonieri ci rubano gli eredi e il raccolto’.» La sua voce assunse il forzato, insinuante tono tenorile che poteva essere soltanto di Meron. «E adesso la verità è dura, ed è difficile da trangugiare. In cambio dell’onore che gli avete reso, i dragonieri dovrebbero lasciare che i Fili vi seppellissero!»

«E Bitra, Lemos e la mia Fortezza?» intervenne Raid, il Signore di Benden, alzando il mento tozzo con aria bellicosa. «Noi abbiamo sempre fatto il nostro dovere nei confronti del Weyr.»

Robinton si volse di scatto verso di lui, con gli occhi lampeggianti, e lo fissò a lungo.

«Sì, è vero. Tra tutte le grandi Fortezze, voi tre siete state fedeli. Ma gli altri…» Alzò la voce indignato. «Nella mia qualità di portavoce della mia Arte, conosco benissimo quello che pensate dei dragonieri. Sono stato il primo a sapere della vostra intenzione di attaccare in massa il Weyr.» Rise aspramente e puntò un dito contro Vincet. «Dove saresti oggi, buon Nobile Vincet, se il Weyr non ti avesse costretto a ritirarti, tenendo in ostaggio le tue dame? E tutti voi…» Puntò il dito accusatore contro i vari Signori che avevano partecipato al tentativo. «Tutti voi avete marciato contro il Weyr perché… ’non c’erano più Fili’!»

Si piantò i pugni sui fianchi e sfidò con lo sguardo l’assemblea. F’lar avrebbe voluto applaudirlo. Era facile capire perché quell’uomo era Maestro Arpista; e ringraziò la sorte perché era schierato dalla parte del Weyr.

«E adesso, in questo momento critico, avete l’inaudita presunzione di protestare contro i provvedimenti proposti dal Weyr?» La voce duttile di Robinton trasudava derisione e sbalordimento. «Fate ciò che vi dice il Comandante del Weyr, e risparmiategli le vostre beghe meschine!» Pronunciò quelle parole con il tono che avrebbe potuto usare un padre nel rimproverare un figlio indisciplinato. «Ma tu,» continuò, passando di colpo al più cortese dei toni nel rivolgersi a F’lar, «mi pare che stessi chiedendo la nostra collaborazione, buon F’lar. Che cosa possiamo fare?»

F’lar si schiarì la gola.

«Chiedo che le varie Fortezze provvedano a sorvegliare i campi e i boschi, se è possibile durante gli attacchi, e comunque dopo che i Fili sono passati. Bisogna trovare, contrassegnare e distruggere tutte le tane in cui possono essere affondati. Prima vengono individuati, e prima ci libereremo di loro.»

«Non c’è tempo per scavare fosse in tutte le nostre terre… perderemmo la metà delle aree coltivate,» esclamò Nessel.

«Nei tempi andati si usavano altri mezzi, e credo che il Maestro Fabbro possa conoscerli.» F’lar indicò cortesemente Fandarel, che sembrava il simbolo vivente della sua professione.

Il Maestro Fabbro era molto più alto di tatti gli altri partecipanti al Consiglio. Le spalle massicce e le braccia muscolose sfioravano i suoi due vicini, benché si sforzasse di non urtarli. Si alzò, colossale come un albero, infilando i grossi pollici nell’alta cintura. La sua voce, non certo addolcita da Giri e Giri trascorsi a gridare ordini al di sopra del ruggito delle fiamme e del risuonare dei magli, era, in confronto alla dizione superba di Robinton, baritonale, leggera e non perfettamente impostata.

«Esistevano delle macchine, questo sì,» ammise, pensieroso. «Mio padre, per esempio, me ne parlava come se fossero curiosità dell’Arte. Può darsi che ci sia qualche schizzo, nella Sala, o forse non c’è più. I disegni non durano per molto tempo, sulle pelli.» Lanciò un’occhiata obliqua al Maestro Conciapelli, di sotto le sopracciglia aggrondate.

«È delle nostre pelli che dobbiamo preoccuparci, in questo momento,» si affrettò a osservare F’lar, per evitare che si accendesse una disputa tra i rappresentanti delle due Arti.

Fandarel brontolò qualcosa, e F’lar non avrebbe saputo dire con certezza se fosse una risata oppure un mormorio gutturale d’approvazione.

«Studierò la cosa, e lo stesso faranno tutti i miei colleghi,» assicurò il Maestro Fabbro. «Può darsi che non sia facile bruciare i Fili nel terreno senza danneggiare il suolo. È vero, esistono liquidi che bruciano: noi usiamo un acido per incidere motivi sulle daghe e sugli ornamenti metallici. Noi dell’Arte lo chiamiamo agenothree. C’è anche la pesante acquanera che si trova in superficie negli stagni di Igen e di Boll. Brucia molto e a lungo. E se, come tu hai detto, il freddo ha ridotto in polvere i Fili, forse il ghiaccio delle terre più settentrionali potrebbe congelare e sbriciolare i Fili radicati nel terreno. Il problema, però, consiste nel portare il ghiaccio sul posto dove sono caduti i Fili, perché non ci useranno certo la cortesia di scendere dove fa più comodo a noi…» E contrasse il volto in una smorfia espressiva.

F’lar lo fissò sorpreso. Quell’uomo non si rendeva conto del suo umorismo involontario: parlava con sincera partecipazione. Il Maestro Fabbro si grattò la testa. Si udì chiaramente il suono raschiante delle dita tozze che passavano sui capelli e sulla cute indurita dal calore.

«Un bel problema. Un bel problema,» rifletté a voce alta. «Me ne occuperò con il massimo impegno.» Tornò a sedersi, e la panca scricchiolò sotto il suo peso.

Il Maestro Agricoltore alzò la mano, un po’ incerto.

«Quando ho studiato per diventare Maestro dell’Arte, ricordo di avere trovato da qualche parte un accenno ai vermi-di-sabbia di Igen. Una volta venivano allevati per protezione…»

«Non ho mai saputo che Igen producesse altro che caldo e sabbia,» scattò qualcuno.

«Tutti i suggerimenti possono esserci utili,» osservò seccamente F’lar, cercando di identificare il disturbatore. «Ti prego di ritrovare quei dati, Maestro dell’Arte. Nobile Banger di Igen, procurami un po’ di quei vermi-di-sabbia.»

Banger, meravigliatissimo che le sue aride terre possedessero un tesoro nascosto, annuì con vigore.

«Fino a quando non avremo trovato sistemi più efficienti per uccidere i Fili, tutti gli abitanti delle Fortezze dovranno organizzarsi a terra, durante gli attacchi, per individuare e contrassegnare i punti in cui i Fili sono penetrati nel terreno, per poterli bruciare con le pietre focaie. Non voglio che qualcuno rimanga ustionato; ma sappiamo che i Fili affondano molto rapidamente nel suolo, e non possiamo permettere che si moltiplichino. Voi siete quelli che avete più da perdere,» e tese il braccio verso i Signori. «Non dovete limitarvi a vigilare su voi stessi, perche i Fili possono dilagare dalle terre dell’uno a quelle dell’altro. Mobilitate tutti, uomini, donne, bambini, agricoltori e artigiani. E subito.»

Nella Sala del Consiglio regnò un’atmosfera di tensione e di sbigottimento fino a quando si alzò a parlare Zurg, il Maestro Tessitore.

«Anche la mia Arte ha qualcosa da offrire. È giusto, poiché ci occupiamo di fili per tutta la vita. Bene, si tratta di una cosa che riguarda gli antichi metodi.» La sua voce era sottile e secca, ma gli occhi, tra le grinze sottili che li incastonavano, erano vivi, e sfrecciavano da uno all’altro dei presenti. «Nella Fortezza di Ruatha, una volta, ho visto un arazzo appeso ad una parete… Non so dove sia finito, oggi.» Lanciò un’occhiata saputa a Meron di Nabol, e poi a Bargen delle Terre Alte, che era succeduto a Fax. «Era un’opera antica quanto i draghi e, tra le altre cose, mostrava un uomo a piedi, che portava sulle spalle uno strano apparecchio. Stringeva in mano un oggetto arrotondato, lungo come una spada, da cui scaturivano in direzione del terreno lingue di fiamma… splendidamente intessute e colorate di tinte rosso-arancio che oggi non si producono più. In cielo, naturalmente, c’era una formazione di draghi, e predominavano i bronzei… Abbiamo perduto, purtroppo, anche il segreto dei coloranti che riproducevano le tinte esatte dei draghi. Ricordo quel lavoro sia perché oggi non possediamo più quelle tecniche, sia per il soggetto che rappresentava.»