F’lar si domandò se quell’uomo avrebbe mai smesso di giocare con le parole. Stava pensando a ben altro che a studiare le tabelle dei tempi.
«Sto pensando a una ballata che fui costretto a scartare, quando divenni Maestro della mia Corporazione, perché non riuscivo a capirla,» disse, dopo avere sorseggiato il vino con aria da intenditore. «È un canto difficile, sia per la melodia che per le parole. Un arpista sviluppa una certa sensibilità, e finisce per capire quando un testo può venire accettato dal pubblico, e quando invece verrà respinto… violentemente.» Rabbrividì al ricordo. «Mi accorsi che quella ballata sconvolgeva non solo gli ascoltatori ma anche il cantore, e la tolsi di circolazione. Ma adesso è opportuno riscoprirla, come quell’arazzo.»
Dopo la morte di C’gan, il suo strumento era rimasto appeso alla parete della Sala del Consiglio, in attesa che venisse scelto un nuovo Cantore del Weyr. Era una chitarra vecchissima, dal legno molto sottile. Il vecchio C’gan l’aveva sempre tenuta perfettamente accordata e coperta. Il Maestro Arpista la maneggiò con reverenza, sfiorando lievemente le corde per provarne il suono, e sembrò stupirsi della splendida voce dello strumento.
Pizzicò un accordo, in dissonanza. F’lar pensò che la chitarra fosse scordata o che l’arpista avesse toccato per errore la corda sbagliata. Ma Robinton ripeté quella strana battuta, e poi modulò un bizzarro accordo minore, in un certo senso ancora più inquietante delle prime note.
«Come ti avevo detto, è un canto difficile. E mi domando se tu conosci le risposte alle domande che formula. In questi ultimi tempi, ho pensato spesso a questo enigma.»
Poi, improvvisamente, cominciò a cantare:
Vibrò l’ultimo accordo lamentoso.
«Naturalmente, come tu saprai, questo canto venne registrato per la prima volta negli annali della mia Arte circa quattrocento Giri fa,» disse Robinton, cingendo la chitarra con entrambe le braccia. «La Stella Rossa aveva appena concluso il suo passaggio, e non vi erano più attacchi. La gente aveva buone ragioni per sentirsi stordita e preoccupata a causa dell’improvvisa sparizione degli abitanti di cinque Weyr. Oh, immagino che a quell’epoca circolassero molte spiegazioni, ma non ne è documentata nessuna… assolutamente nessuna.» Robinton fece una pausa significativa.
«Anch’io non ne ho rintracciata nessuna,» rispose F’lar. «Anzi, ho fatto trasportare qui dagli altri Weyr tutte le Cronache… per poter compilare le tabelle esatte dei tempi. E le Cronache degli altri Weyr a un certo punto si arrestano.» Accompagnò quelle parole con un gesto secco della mano. «Nelle Cronache di Benden non si parla di malattie, di morte, di incendi, di catastrofi… Neppure una parola di spiegazione per l’interruzione improvvisa degli abituali rapporti tra i Weyr. Le nostre Cronache continuano: ma parlano soltanto di Benden. C’è una sola annotazione che allude indirettamente alla sparizione degli altri: l’inizio di un servizio di pattugliamento esteso a tutto Pern, non solo ai territori affidati alla responsabilità immediata di Benden. E questo è tutto.»
«Molto strano,» commentò Robinton. «Superato il pericolo rappresentato dalla Stella Rossa, i draghi e i cavalieri potrebbero essere andati in mezzo per non pesare più sulle Fortezze. Ma non riesco a crederlo. Le Cronache della nostra Arte dicono che i raccolti erano stati scarsi, e che si erano verificate parecchie catastrofi naturali… a parte la caduta dei Fili. Gli uomini sanno essere generosi, e la tua razza è la più generosa di tutte… Ma un suicidio collettivo? Non posso accettare una spiegazione del genere, per quanto riguarda i dragonieri.»
«Ti ringrazio,» rispose F’lar, con blanda ironia.
«Non c’è di che,» rispose Robinton, con un cortese inchino.
F’lar ridacchiò.
«Mi rendo conto che non siamo diventati solo troppo incartapecoriti: abbiamo finito per non vedere niente al di là del nostro Weyr.»
Robinton vuotò la coppa e la guardò con aria malinconica fino a che F’lar tornò a riempirla.
«Comunque, il vostro isolamento è servito a qualcosa, capisci? E avete sistemato in modo splendido la rivolta dei Signori. Poco è mancato che morissi dal ridere,» osservò l’arpista con un ampio sogghigno. «Avete rubato le loro donne in un batter d’occhio di drago!» Rise di nuovo, poi ritornò serio all’improvviso, e fissò il suo ospite dritto negli occhi. «Abituato come sono a udire quello che un uomo non dice a voce alta, sospetto che tu abbia sorvolato su molte cose, durante la riunione del Consiglio. Puoi fidarti della mia discrezione… e puoi contare sul mio appoggio incondizionato e su quello della mia Corporazione, che è tutt’altro che inefficiente. Per parlare chiaro: in che modo possono aiutarti i miei arpisti?» Accennò sulla chitarra una marcia vigorosa. «Scuotere gli animi con ballate che parlano delle glorie e dei trionfi del passato?» Sotto le sue dita fulminee, la melodia si trasformò all’improvviso in un ritmo austero ma deciso. «Rafforzare il loro coraggio morale e fisico in previsione delle difficoltà?»
«Se tutti i tuoi arpisti fossero capaci di scuotere gli uomini come sai fare tu, non avrei nessuna preoccupazione cui non potessi ovviare con cinquecento draghi in più.»
«Dunque, nonostante le tue parole coraggiose e le tue carte, la situazione…» Una vibrazione dissonante della chitarra sottolineò le ultime parole. «È più disperata di quanto tu non abbia voluto ammettere?»
«Può darsi.»
«I lanciafiamme di cui si è ricordato il vecchio Zurg e che Fandarel deve ricostruire… basterebbero a far inclinare in nostro favore i piatti della bilancia?»
F’lar scrutò con aria pensierosa l’arpista, e prese una rapida decisione.
«Anche i vermi-di-sabbia di Igen potranno essere utili, via «via che il mondo gira e la Stella Rossa si avvicina, gli intervalli tra un attacco e l’altro si accorciano, e noi abbiamo soltanto settantadue nuovi draghi da aggiungere a quelli che avevamo ieri. Uno è morto e parecchi altri non saranno in grado di volare per diverse settimane.»
«Settantadue?» l’interruppe Robinton, con voce tagliente. «Ramoth ha avuto solo quaranta figli, e sono ancora troppo giovani per masticare pietre focaie.»
F’lar gli parlò in poche parole della spedizione di F’nor e di Lessa, in corso in quel momento. Raccontò la riapparizione di F’nor e il suo avvertimento, e spiegò che l’esperimento era riuscito almeno in parte e aveva portato alla nascita dei trentadue nuovi draghi della prima covata di Pridith. Robinton l’interruppe.
«Come è possibile che F’nor sia ritornato, se tu non hai ancora saputo da lui e da Lessa che nel Continente Meridionale c’è un posto adatto a questo progetto?»
«I draghi possono andare in mezzo da un tempo all’altro, come vanno da un luogo all’altro.»
Robinton spalancò gli occhi, assorbendo quella notizia sbalorditiva.
«È così che siamo riusciti a prevenire l’attacco contro Nerat, ieri mattina. Siamo balzati indietro nel tempo di due ore, per liquidare i Fili mentre cadevano.»
«Potete veramente tornare indietro nel tempo? In che misura?»
«Non lo so. Lessa, quando le insegnavo a far volare Ramoth, è ritornata inavvertitamente alla Fortezza di Ruatha, all’alba di tredici Giri fa, quando gli uomini di Fax l’invasero calandosi dalle alture. Quando è ritornata nel presente, io ho tentato un balzo in mezzo nel tempo di circa dieci Giri. Per i draghi è molto semplice passare in mezzo nel tempo o nello spazio; ma a quanto sembra per il cavaliere è estremamente faticoso. Ieri, quando siamo ritornati da Nerat e abbiamo dovuto proseguire per Keroon, mi sentivo come una pelle lasciata a seccare un’intera estate nella Piana di Igen.» F’lar scrollò il capo. «È chiaro che siamo riusciti a mandare indietro di dieci Giri Kylara, Pridith e gli altri, perché F’nor mi ha già riferito di essere là da parecchio tempo. Per gli esseri umani, comunque, l’esaurimento si fa sempre più marcato. Ma anche settantadue draghi in più possono essere preziosi.»