«Manda un cavaliere avanti nel tempo, per scoprire se questo è sufficiente,» gli suggerì premuroso Robinton. «Ti risparmierai molte preoccupazioni.»
«Non so come sia possibile portarsi in un tempo che non è ancora realizzato. Bisogna dare al proprio drago dei punti di riferimento, capisci. Come puoi indicargli un tempo che non esiste ancora?»
«Ma tu sei dotato di immaginazione. Usala.»
«Per rischiare di perdere un drago, quando quelli che ho non bastano? No, devo continuare, perché è evidente che ho continuato, a giudicare dai ritorni di F’nor… così come ho deciso di incominciare. E questo mi ricorda che devo dare ordine di prepararsi. Poi ti spiegherò meglio le tabelle dei tempi.» Solamente dopo il pranzo di mezzogiorno, che Robinton consumò in compagnia del Comandante del Weyr, il Maestro Arpista si sentì sicuro di avere compreso le carte e se ne andò per incominciare la copiatura.
Quando Lessa e F’nor, trasportati da Ramoth e da Canth, giunsero sopra la Pietra della Stella, scorsero i primi Signori delle Fortezze e i primi Maestri delle Arti che giungevano per partecipare al Consiglio.
Per ritornare al Continente Meridionale di dieci Giri prima, Lessa e F’nor avevano deciso che il modo più facile consisteva nel trasferirsi prima in mezzo nel tempo al Weyr di dieci Giri innanzi, che F’nor ricordava bene. Poi si sarebbero trasferiti, passando in mezzo, a un punto sopra il mare a poca distanza dalla costa del Contraente Meridionale, secondo le indicazioni fornite dalle Cronache.
F’nor trasmise alla mente di Canth l’immagine di un giorno particolare di dieci Giri prima che ricordava perfettamente, e Ramoth attinse i riferimenti necessari dalla mente del drago marrone. Il freddo spaventoso del mezzo tolse il respiro a Lessa. Con immenso sollievo scorse una rapida visione della normale attività del Weyr, prima che i draghi li portassero di nuovo in mezzo, per riemergere librati sul mare turbolento.
Più lontano, chiazzato di violetto sotto il cielo coperto e buio, si stendeva il Continente Meridionale. Lessa sentì che un’ansia nuova prendeva nel suo animo il posto dell’incertezza dello spostamento temporale. Ramoth si diresse verso la costa lontana, a grandi colpi d’ala; Canth, coraggiosamente, cercò di eguagliarne la velocità.
È solo un marrone, comunicò Lessa alla regina, in tono di rimprovero.
Se vuole volare con me, rispose freddamente Ramoth, deve muovere un po’ quelle ali.
Lessa sorrise ironica, pensando tra sé che Ramoth era ancora irritata di non aver potuto compiere quel viaggio con Mnementh e F’lar. Tutti i maschi se la sarebbero passata male, con lei, per qualche tempo.
Videro, per prima cosa, lo stormo dei wherry, e compresero che sul Continente doveva esserci della vegetazione. I wherry avevano bisogno di piante verdi per sopravvivere, anche se potevano nutrirsi di vermi quando non trovavano altro.
Lessa incaricò Canth di trasmettere le sue domande a F’nor.
Se il Continente Meridionale è stato devastato e reso sterile dai Fili, come è possibile che sia cresciuta una nuova vegetazione? E da dove sono venuti i wherry?
Hai mai notato i baccelli che si spaccano, e i semi portati via dal vento? Hai mai notato che i wherry volano verso il Sud, dopo il solstizio d’autunno?
Sì, ma…
Sì, ma?
Ma il terreno è stato devastato dai Fili!
In meno di quattrocento Giri anche le colline bruciate del nostro Continente ricominciano a coprirsi d’erba, in primavera, rispose F’nor per mezzo di Canth. Quindi non è difficile capire che anche il Continente Meridionale può riprendere a vivere.
Nonostante la velocità di Ramoth, occorse un certo tempo per raggiungere la costa frastagliata dai precipizi di pietra nuda, cupi nella luce fioca. Lessa gemette, fra sé, ma chiese a Ramoth di acquistare quota, per poter vedere al di là delle montagne che nascondevano in parte il panorama. Da quell’altezza, tutto appariva grigio e desolato.
All’improvviso il Sole penetrò attraverso la coltre di nuvole e il grigio si dissolse in chiazze dense, verdi e marroni. Erano i colori della vita, i verdi brillanti della lussureggiante vegetazione tropicale, i marroni degli alberi vigorosi e dei rampicanti. Al grido di trionfo di Lessa fecero eco l’evviva di F’nor e le voci bronzee dei draghi. I wherry, spaventati da quei suoni insoliti, si levarono in volo tra squittii di allarme.
Al di là del promontorio, il suolo scendeva in un pianoro coperto di giungle e di praterie, simile al Boll centrale. Cercarono per tutta la mattina, ma non riuscirono a trovare una montagna rocciosa, a pareti verticali, capace di ospitare un nuovo Weyr. Purtroppo, quello avrebbe potuto spiegare il fallimento futuro del tentativo, pensò Lessa.
Atterrarono, scoraggiati, su di un alto pianoro, nei pressi di un piccolo lago. Il clima era caldo ma non opprimente. Mentre i due esseri umani consumavano il pasto di mezzogiorno, i due draghi andarono a sguazzare nell’acqua.
Lessa era inquieta, e il pane e la carne non l’attiravano. Notò che anche F’nor era agitato, e lanciava sguardi furtivi attorno al lago, verso l’orlo della giungla.
«Che cosa stiamo aspettando? I wherry non attaccano, e i wher selvatici non si avvicinerebbero mai ad un drago. Mancano dieci Giri all’apparizione della Stella Rossa, e quindi non può esserci neppure un Filo.»
F’nor scrollò le spalle con un sorriso impacciato, mentre riponeva l’avanzo del pane nella bisaccia.
«Forse perché questo posto è così deserto,» disse, guardandosi intorno. Scorse i frutti maturi che pendevano da un tralcio di fiordiluna. «Quelli hanno l’aria di essere buoni da mangiare. Non dovrebbero sapere di polvere.»
Si arrampicò con agilità e colse un frutto rosso-arancio.
«L’odore è buono, e sembra maturo,» annunciò, tagliandolo. Porse la prima fetta a Lessa con un mezzo sorriso, ne tagliò un’altra per sé, la sollevò con aria di sfida. «Mangiamo e moriamo insieme!»
Lessa non poté trattenere una risata e ricambiò il gesto. Affondarono i denti nella polpa succolenta. Il succo dolce colò agli angoli della bocca di Lessa, che si affrettò a leccarsi le labbra per catturare fino all’ultima goccia quel liquido delizioso.
«Se non altro, moriremo felici,» gridò F’nor, tagliando altre fette del frutto.
Rassicurati dall’esito dell’esperimento, ripresero a discutere il senso di disagio che provavano.
«Secondo me,» suggerì F’nor, «è la mancanza di una parete rocciosa e delle caverne, e il silenzio che regna in questo posto. E il sapere che non c’è nessuno, qui intorno, tranne noi.»