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«E la riunione di questa mattina?» chiese F’nor, ricordandosene all’improvviso.

«Non pensiamoci, adesso. Dovrete cominciare a passare in mezzo prima di sera, F’nor.»

Lessa lanciò un’occhiata lunga e aspra al Comandante del Weyr e decise di scoprire ad ogni costo e molto in fretta ciò che era accaduto nel frattempo.

«Ti dispiace disegnarmi qualche punto di riferimento, Lessa?» chiese F’lar.

C’era un’espressione decisamente supplichevole nei suoi occhi, mentre le porgeva una pergamena pulita e uno stilo. Non voleva che lei gli facesse domande capaci di allarmare F’nor. Con un sospiro, Lessa prese lo stilo.

Tracciò i disegni rapidamente; F’nor aggiunse due o tre particolari. Alla fine, poté consegnare una pianta decente del pianoro che avevano prescelto. Poi, all’improvviso, si accorse che la vista le si stava annebbiando. Un capogiro la colse.

«Lessa?» F’lar si piegò su di lei.

«Tutto… si muove… gira…» Cadde riversa tra le braccia di lui.

F’lar la sollevò, scambiando con il fratello uno sguardo preoccupato.

«Vado a chiamare Manora,» propose F’nor.

«E tu come ti senti?» gli gridò dietro il Comandante del Weyr.

«Stanco, ma niente altro,» gli assicurò F’nor, mentre si piegava per chiamare nel pozzo di servizio che portava alle cucine. Pregò che facessero salire Manora e chiese anche del klah bollente. Ne aveva bisogno, su questo non c’era dubbio.

F’lar depose il corpo esile della Dama del Weyr sul letto e la coprì delicatamente.

«Questo non mi piace,» mormorò ricordando ciò che F’nor gli aveva detto a proposito del declino di Kylara: ma suo fratello non poteva saperlo, perché apparteneva ancora al suo futuro. Come mai su Lessa l’effetto era stato tanto immediato?

«Passare da un tempo all’altro fa sentire un po’…» F’nor s’interruppe, cercando le parole esatte. «Non del tutto interi. Ieri tu hai combattuto a Nerat dopo essere passato in mezzo da un tempo all’altro…»

«Io ho combattuto,» gli rammentò F’lar. «Ma oggi tu e Lessa non avete dovuto combattere. Può darsi che passare in mezzo nel tempo provochi una tensione mentale. Senti, F’nor, preferirei che tu ritornassi indientro una volta sola, dopo che sarai arrivato nel Weyr del Continente Meridionale. È un ordine, e dirò a Ramoth di comunicarlo ai draghi per inibirli. In questo modo, nessun cavaliere riuscirà a indurre il suo animale a tornare indietro, anche se lo vorrà. È in gioco qualche fattore che può essere più pericoloso di quanto immaginiamo. Non dobbiamo correre rischi inutili.»

«D’accordo.»

«Un altro particolare, F’nor. Sono rimasto qui tutta la mattina, e tu sei ritornato dal primo viaggio soltanto a metà del pomeriggio. Ricordati che noi abbiamo soltanto tre giorni. Voi avete dieci Giri.»

F’nor se ne andò. Nella galleria incontrò Manora.

La donna non riuscì a trovare nulla d’insolito in Lessa, e alla fine sentenziò che doveva trattarsi di semplice stanchezza: il giorno prima aveva dovuto trasmettere messaggi tra i draghi e i combattenti, e adesso era appena ritornata da uno sconvolgente viaggio in mezzo attraverso il tempo.

Quando F’lar andò ad augurare buona fortuna ai partenti, Lessa era immersa in un sonno normale. Il suo viso era molto pallido, ma il respiro regolare.

F’lar incaricò Mnementh di comunicare a Ramoth la proibizione che la regina doveva instillare nella mente di tutti i draghi in procinto di partire. Ramoth lo accontentò, però aggiunse confidenzialmente una protesta che Mnementh comunicò a F’lar: tutti quanti si divertivano mentre lei, la regina del Weyr, era costretta a restare lì ad annoiarsi.

Non appena i draghi con i loro carichi furono scomparsi uno dopo l’altro nel cielo al di sopra della Pietra della Stella, arrivò planando il giovane allievo che era stato assegnato come messaggero alla Fortezza di Nerat. Era bianco in volto per la paura.

«Comandante del Weyr, abbiamo trovato molti altri Fili interrati, ed è impossibile bruciarli con il fuoco. Il Nobile Vincet richiede la tua presenza.»

F’lar lo aveva previsto.

«Vai a mangiare qualcosa, ragazzo mio, prima di ripartire. Io andrò fra poco.»

Quando entrò nell’alloggio, udì Ramoth emettere un rombo sommesso dal fondo della gola. Si era sdraiata per riposare.

Lessa dormiva ancora, la guancia posata nel cavo della mano. I lunghi capelli scuri ricadevano dal letto. F’lar la vide fragile, fanciullesca, infinitamente preziosa. Sorrise. Dunque le attenzioni di Kylara per lui l’avevano ingelosita: ne era soddisfatto e lusingato. Non avrebbe mai ammesso, di fronte a Lessa, che Kylara, nonostante la sua bellezza spavalda e la sua sensualità, non possedeva un decimo del fascino dell’imprevedibile, delicata ragazza di Ruatha. Persino la sua ostinazione intrattabile, quell’umore ironico e malizioso aggiungevano sapore al loro rapporto. Con una tenerezza che non avrebbe mai dimostrato quando lei era sveglia, F’lar si chinò e le baciò le labbra.

Poi se ne andò, per ritornare a ciò che doveva fare. Quando si soffermò accanto alla regina, Ramoth alzò la grande testa aguzza e fissò su di lui gli occhi sfaccettati, scintillanti di una vivida luminescenza.

«Mnementh, per favore, chiedi a Ramoth di mettersi in contatto con il drago che è nella fucina di Fandarel. Vorrei che il Maestro Fabbro venisse con me a Nerat. Voglio vedere cosa può fare ai Fili il suo agenothree.»

Ramoth annuì, non appena il drago bronzeo le ebbe comunicato il messaggio.

Lo ha trasmesso, e il drago verde sta arrivando, riferì Mnementh al suo pilota. Però è più facile comunicare a distanza quando Lessa è sveglia.

F’lar lo ammise prontamente. Era stato un enorme vantaggio, il giorno prima, durante il combattimento, e sarebbe stato ancora più utile in avvenire.

Forse sarebbe stato bene che Lessa cercasse di parlare a F’nor attraverso il tempo… ma no, F’nor era ritornato.

F’lar entrò nella Sala del Consiglio. Sperava ancora che da qualche parte, nelle vecchie Cronache illeggibili, si celasse l’indizio di cui aveva un bisogno disperato. Doveva esserci pure un modo per uscire da quella situazione. Se non si trattava dell’esperimento nel Continente Meridionale, doveva esserci qualcosa d’altro.

Fandarel dimostrò di avere una volontà non meno ferrea dei muscoli. Guardò calmo il groviglio scoperto di Fili che cresceva a vista d’occhio, contorcendosi e intrecciandosi oscenamente.

«Sono centinaia e migliaia solamente in questa tana,» esclamò il Nobile Vincet di Nerat, con voce frenetica. Agitò le mani, angosciato, per indicare la piantagione in cui erano stati scoperti i Fili. «Gli steli stanno già incominciando ad avvizzire, mentre voi esitate. Fate qualcosa! Quanti altri germogli moriranno, solo in questo campo? Quante altre tane sono sfuggite ieri al fiato dei draghi? Dov’è un drago per bruciare questi Fili? Perché ve ne state lì senza far niente?»

F’lar e Fandarel non badavano alle parole di Vincet, disgustati e affascinati insieme dalla vista di quella particolare fase del ciclo vitale del loro antico nemico. Nonostante le accuse atterrite di Vincet, quella era l’unica tana scoperta sull’intera collina. F’lar preferiva non chiedersi quanti altri Fili potevano essere sfuggiti all’attenzione dei draghi e potevano avere raggiunto il terreno tepido e fertile. Purtroppo non avevano avuto abbastanza tempo per piazzare sentinelle incaricate di seguire la caduta delle masse di Fili. Avrebbero comunque rimediato a Telgar, Crom e Ruatha fra tre giorni. Ma non bastava. Non bastava ancora.

Fandarel fece cenno ai due artigiani che lo avevano accompagnato, e quelli si fecero avanti. Reggevano uno strano apparecchio: un grosso cilindro metallico, al quale era fissato un tubo dall’ampia bocca. All’estremità opposta c’era un altro tubo e poi un cilindretto più corto, a stantuffo. Uno degli artigiani manovrava energicamente lo stantuffo, mentre il secondo puntava la canna verso la tana dei Fili, con dita malferme. A un cenno del compagno, l’uomo lasciò andare un pulsante, e protese prudentemente il tubo al di sopra della tana. Uscì uno spruzzo sottile che cadde al suolo. Non appena le goccioline toccarono i Fili aggrovigliati, dalla buca si levò uno sbuffo di vapore sibilante. Pochi attimi dopo, dei pallidi tentacoli frementi restava soltanto una massa fumante di strisce annerite. Fandarel fece segno ai suoi artigiani di scostarsi e restò a fissare a lungo la buca. Poi grugnì, prese un lungo fuscello, smosse e rimescolò i resti. Non era sopravvissuto neppure un Filo.