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«E noi dobbiamo rispondere?» suggerì F’lar, sottovoce.

«Sì.» A Robinton brillavano gli occhi. «Noi dobbiamo rispondere: perché è molto difficile dimenticare quel canto, e venne creato per essere ricordato. Quelle domande sono importantissime, F’lar!»

«Quali sono le domande importanti?» chiese Lessa, che era entrata senza farsi notare.

I due uomini si alzarono. F’lar, con insolita premura, le offrì una sedia e le versò del vino.

«Non sto per andare a pezzi,» ribatté lei, seccamente, quasi irritata da quella cortesia esagerata. Poi sorrise a F’lar e proseguì con voce più dolce. «Ho dormito e adesso sto molto meglio. Di cosa stavate parlando, voi due?»

F’lar le spiegò concisamente di che si trattava. Quando parlò del Canto delle Domande, Lessa rabbrividì.

«Non potrei mai dimenticarlo. E questo, a quanto mi hanno detto, significa che è importante.» Fece una smorfia, ricordando le insopportabili lezioni di R’gul. «Ma perchè? Non fa altro che formulare domande.» Poi sbatté le palpebre, sbalordita.

«’Andati avanti, scomparsi, spariti…’ Avanti!» gridò, balzando in piedi. «Ecco! Ho capito! Tutti i cinque Weyr andarono… avanti. Ma in che tempo?».

F’lar si voltò verso di lei, ammutolito.

«Sono venuti nel nostro tempo! Cinque Weyr pieni di draghi!» ripeté Lessa, quasi intimorita.

«No, è impossibile,» la contraddisse F’lar.

«Perché?» chiese Robinton, animandosi. «Non risolve forse il problema che dobbiamo affrontare? La scarsità di draghi da combattimento? Non spiega perché se ne andarono all’improvviso, senza lasciare altra traccia che il Canto delle Domande

F’lar si ricacciò indietro la folta ciocca di capelli che gli ricadeva sugli occhi.

«Spiegherebbe il loro comportamento, quando se ne andarono,» ammise. «Non potevano lasciare indicazioni circa la loro destinazione, altrimenti tutto sarebbe stato cancellato. Come io non ho potuto dire a F’nor che al Sud avrebbe incontrato difficoltà. Ma in che modo sono venuti qui… se è questo il tempo che hanno prescelto? Non sono qui, adesso. Come potevano sapere che c’era bisogno di loro… e quando? Ecco il vero problema: come si possono fornire a un drago punti di riferimento che riguardano un tempo non ancora divenuto realtà?»

«Qualcuno di noi deve tornare indietro, per fornire loro i punti di riferimento esatti,» rispose Lessa, con voce tranquilla.

«Sei pazza, Lessa!» le gridò F’lar, il volto alterato dalla preoccupazione. «Sai quello che ti è capitato oggi. Come puoi pensare di tornare indietro fino a un tempo che non puoi neppure immaginare? Un tempo esistito quattrocento Giri fa? È bastato tornare indietro di dieci Giri per farti svenire!»

«E non ne varrebbe la pena?» chiese Lessa, seria in viso. «Pern non lo merita?»

F’lar l’afferrò per le spalle, la scosse, gli occhi oscurati dalla paura.

«Neppure Pern merita tanto. Non possiamo perdere né te né Ramoth. Lessa, Lessa, questa volta non tentare di disobbedirmi.» Abbassò la voce in un bisbiglio gelido e intenso, tremando di collera.

«Ah, ma può esserci un modo per realizzare tale soluzione, che al momento ci sfugge, Dama del Weyr,» s’intromise molto opportunamente Robinton. «Chi può sapere cosa ci riserva il domani? Certamente, prima di agire, bisogna studiare con molta cura ogni particolare.»

Lessa non cercò di liberarsi dalla stretta di F’lar. mentre girava gli occhi su Robinton.

«Un po’ di vino?» offrì il Maestro Arpista, riempiendole un boccale. Quell’intervento diversivo spezzò l’immobilità degli altri due.

«Ramoth non ha certo paura di tentare,» dichiarò Lessa, stringendo decisa le labbra.

F’lar guardò in tralice il drago dorato che osservava gli umani, con il lungo collo attorto fino quasi alla giuntura tra la grande ala e la spalla.

«Ramoth è giovane,» scattò F’lar; poi captò il pensiero sarcastico di Mnementh nello stesso istante in cui lo captava Lessa.

La giovane donna rovesciò il capo all’indietro, e la sua risata squillante echeggiò nella sala.

«Anch’io riderei volentieri, se lo scherzo è divertente,» osservò puntiglioso Robinton.

«Mnementh ha detto a F’lar che lui, invece, non è giovane, ma non ha egualmente paura di provare,» spiegò Lessa, asciugandosi gli occhi.

F’lar lanciò un’occhiata acida verso la galleria, all’estremità della quale Mnementh aspettava sul cornicione, secondo la sua abitudine.

Sta arrivando un drago, comunicò il bronzeo in quel momento. È il marrone Fanth, e porta il giovane B’rant e Lytol.

«Adesso viene a portarle personalmente, le brutte notizie?» chiese irritata Lessa.

«È già abbastanza doloroso, per Lytol, volare sul drago di un altro o venire qui, Lessa di Ruatha. Ti prego di non accrescere il suo tormento con la tua puerilità,» fece in tono severo F’lar.

Lessa abbassò lo sguardo, infuriata perché il Comandante del Weyr le aveva parlato in quel modo davanti a Robinton.

Lytol entrò un po’ barcollante nella grotta della regina; reggeva l’estremità di un grosso tappeto arrotolato. Il giovane B’rant, che reggeva l’altra estremità, sudava per la fatica. Lytol s’inchinò rispettosamente a Ramoth e fece cenno al giovane cavaliere marrone di srotolare il loro carico. Quando l’immenso arazzo si spiegò F’lar comprese perché il Maestro Tessitore Burg lo ricordava tanto bene. I colori, sebbene fossero indubbiamente antichi, erano rimasti accesi e vibranti. E il tema era ancora più interessante.

«Mnementh, manda a prendere Fandarel. Qui abbiamo il modello che gli serve per il suo lanciafiamme,» disse F’lar.

«Questo arazzo è di Ruatha!» esclamò indignata Lessa. «Lo ricordo benissimo. Quando ero bambina, era appeso nella Grande Sala, e costituiva il tesoro più venerato della mia Casata. Dove era?» I suoi occhi lampeggiavano.

«Signora,» rispose sicuro Lytol, evitando quello sguardo, «viene riportato al suo posto. È opera di un Maestro Tessitore, questa,» continuò, sfiorando con dita reverenti il pesante tessuto. «Che colori, che esecuzione! È occorsa una vita intera per preparare l’ordito, e l’impegno di un’intera Corporazione per completarlo, se io capisco qualcosa di quest’arte.»

F’lar camminò lungo un lato dell’immenso arazzo. Sarebbe stato meglio appenderlo, per poter apprezzare l’esatta prospettiva di quella scena eroica. Una formazione di tre squadroni di draghi in volo dominava la parte superiore. I draghi alitavano fiamme e scendevano in picchiata sulle masse grige dei Fili che cadevano contro il cielo luminoso, che aveva la perfetta sfumatura azzurra dell’autunno: quel colore, pensò F’lar, non poteva indicare una stagione più calda. Sui pendii più bassi delle colline, il fogliame stava assumendo una tinta gialla, a causa del freddo notturno. Le roccie color ardesia facevano pensare a Ruatha. Era quella, la ragione per la quale l’arazzo aveva ornato la Sala di Ruatha? Più in basso, si scorgevano gli uomini che avevano abbandonato la sicurezza della Fortezza, scavata nella parete rocciosa. Erano un po’ curvi sotto il peso degli strani cilindri di cui aveva parlato Zurg. I tubi stretti nelle loro mani eruttavano brillanti lingue di fiamma, in lunghi getti orientati contro i Fili che, fremendo, cercavano di interrarsi nel suolo.

Lessa lanciò un’esclamazione soffocata, avanzò calpestando l’arazzo, si fermò a fissare l’immagine intessuta della Fortezza. La porta massiccia era socchiusa, e i particolari dell’ornamentazione bronzea erano riprodotti scrupolosamente.