«E soffrire la fame per tutto il resto dell’anno,» osservò asciutto F’lar, scrutando l’ampia valle. Pochissimi campi erano arati. Nei pascoli si scorgevano scarse greggi. Persino gli orti apparivano miseri. A Crom, nella valle accanto, i fiori erano abbondanti, ma qui erano rari, come se rifiutassero di sbocciare in un luogo tanto squallido. Benché il sole fosse già alto, non sembrava vi fosse attività nelle fattorie, almeno in quelle più vicine. L’atmosfera era carica di tetra disperazione.
«C’è stata resistenza alla mia signoria su Ruatha.»
F’lar lanciò un’occhiata a Fax, perché la voce di quell’uomo era rabbiosa, il volto contratto sembrava augurare altre sofferenze ai ribelli ruathani. L’impulso vendicativo che colorava l’atteggiamento di Fax nei confronti di Ruatha e dei suoi ribelli era sfumato di un’altra forte emozione, che F’lar non era riuscito a identificare, ma che gli era apparsa evidente fin da quando aveva abilmente proposto, per la prima volta, di fare il giro delle Fortezze. Non poteva trattarsi di paura, perché Fax era evidentemente un uomo coraggioso, spavaldamente sicuro di sé. Repulsione? Preoccupazione? Incertezza? F’lar non riusciva a definire la natura della composita riluttanza che Fax provava all’idea di visitare Ruatha: ma era certo che la prospettiva non gli era piaciuta, e adesso reagiva con violenza, nel trovarsi entro quei confini inquietanti.
«Che sciocchi, questi ruathani,» commentò F’lar, amabilmente. Fax si girò di scatto verso di lui, una mano posata sull’impugnatura della spada, gli occhi sfolgoranti. F’lar sentì, con una sensazione molto vicina al piacere, che l’usurpatore sarebbe stato veramente capace di sfidare un cavaliere dei draghi. Rimase quasi deluso quando l’altro si controllò, strinse saldamente le redini e con un calcio lanciò la sua cavalcatura in un galoppo frenetico.
Lo ucciderò, prima o poi, si disse F’lar, e Mnementh spiegò le ali per dimostrare la sua approvazione.
F’nor scese accanto al suo comandante.
«Ho visto che stava per sguainare la spada contro di te.» Gli occhi di F’nor erano accesi, il suo sorriso acido.
«Ma poi ha ricordato che io ero montato su un drago.»
«Stai in guardia, cavaliere bronzeo. Ha intenzione di ucciderti presto.»
«Se ci riuscirà!»
«È considerato un combattente accanito,» ammonì F’nor, senza più sorridere.
Mnementh sbatté di nuovo le ali, e F’lar accarezzò distrattamente il grande collo liscio.
«Mi troverei in svantaggio?» chiese poi, punto dalle parole di F’nor.
«No, a quanto mi risulta,» rispose prontamente F’nor, sconcertato. «Non l’ho mai visto in azione, ma non mi piace ciò che ho sentito dire. Uccide spesso, con un motivo o anche senza.»
«E poiché noi dragonieri non cerchiamo il sangue, non dobbiamo essere combattenti temuti?» scattò F’lar. «Ti vergogni forse di essere quello che sei?»
«Io no!» F’nor trattenne il respiro, sbigottito dal tono del suo comandante. «E gli altri del tuo squadrone, no! Ma nell’atteggiamento degli uomini di Fax c’è qualcosa che… che mi mette la voglia di cercare un pretesto per battermi.»
«Come hai detto poco fa, probabilmente finiremo per batterci. C’è qualcosa, qui, a Ruatha, che esaspera il nostro nobile ospite.»
Mnementh e Canth, il drago marrone di F’nor, spiegarono le ali e le agitarono, per attirare l’attenzione delle loro guide.
F’lar osservò il drago che inclinava la testa all’indietro, verso di lui: i grandi occhi scintillavano come opali colpiti da un raggio di sole.
«C’è una forza sottile, in questo valle,» mormorò F’lar, ricevendo il significato dell’ansioso messaggio del drago.
«Sì, c’è davvero; lo sente anche il mio marrone,» rispose F’nor, illuminandosi in volto.
«Sii prudente, cavaliere marrone,» lo avvertì F’lar. «Sii prudente. Di’ all’intero squadrone di levarsi ad alta quota, di esplorare la valle. Avrei dovuto capirlo. Avrei dovuto sospettarlo. Era tutto lì, davanti a me, e bastava che lo valutassi. Che sciocchi siamo diventati, noi dragonieri!»
Lessa stava togliendo le ceneri dal focolare con una paletta quando il messaggero, agitato, entrò vacillando nella Grande Sala. Cercò di non farsi notare, perché il Connestabile non l’allontanasse. Era riuscita a farsi mandare nella Grande Sala, quella mattina, poiché sapeva che il Connestabile intendeva punire il capo tessitore per la pessima qualità dei prodotti preparati per la spedizione a Fax.
«Sta arrivando Fax! Con i dragonieri!» ansimò l’uomo, precipitandosi nella Grande Sala semibuia.
Il Connestabile, che stava per frustare il capo tessitore, si voltò, sbalordito. Il messaggero, un contadino che veniva dai confini di Ruatha, gli si avvicinò incespicando, così eccitato che arrivò ad afferrarlo per un braccio.
«Come hai osato lasciare la tua fattoria?» Il Connestabile levò la frusta verso il messaggero sbalordito. Il primo colpo fu così forte che l’uomo cadde. Strisciò via, gemendo, per sfuggire ad una seconda frustata. «Dragonieri! Proprio! Fax? Ah! Lui evita Ruatha. Prendi!» Il Connestabile sottolineò ogni smentita con un altro colpo, prendendo a calci il poveraccio; poi si voltò, senza fiato, a fissare minaccioso il tessitore e le guardie. «Come ha potuto arrivare fin qui con una simile menzogna?» Il Connestabile si avviò verso la porta della Grande Sala, che si spalancò nell’istante stesso in cui egli stava per toccarne la maniglia di ferro. Cinereo in viso, l’ufficiale di guardia si precipitò dentro, e per poco non travolse il Connestabile.
«Dragonieri! Draghi! Su tutta Ruatha!» balbettò l’uomo, agitando furiosamente le braccia. Afferrò anch’egli il Connestabile per un gomito, e lo trascinò verso il cortile esterno, per dimostrargli che aveva detto la verità.
Lessa raccolse l’ultimo mucchio di cenere. Riunì i suoi attrezzi, e sgattaiolò fuori dalla Grande Sala. Sotto lo schermo dei capelli opachi un sorriso soddisfatto era dipinto sul suo volto.
Un dragoniere a Ruatha! Era una grande occasione; doveva riuscire, in un modo o nell’altro, a far sì che Fax si sentisse così umiliato o così infuriato da rinunciare ad ogni pretesa sulla Fortezza in presenza di un dragoniere. Allora avrebbe potuto rivendicare i suoi diritti.
Doveva essere straordinariamente cauta, però. I dragonieri erano una razza a sé. La collera non obnubilava la loro intelligenza; l’avidità non alterava il loro giudizio, la paura non sminuiva le loro reazioni. Gli stupidi potevano benissimo credere a tutte quelle storie di sacrifici umani, di appetiti innaturali, di orge folli. Lei non era tanto credula. E tutte quelle storie cozzavano contro il suo istinto. I dragonieri erano pur sempre umani, e lei aveva nelle vene sangue del Weyr. Era sangue che aveva lo stesso colore di quello di chiunque altro; e ne era stato versato quanto bastava per dimostrarlo.
Si arrestò per un attimo, traendo un improvviso respiro. Era quello il pericolo che aveva intuito quattro giorni prima, all’alba? Lo scontro finale nella sua lotta per riconquistare la Fortezza? No, si disse, no; in quel portento c’era qualcosa di più della vendetta.